venerdì 1 agosto 2008

Opio - Vulture’s Wisdom Volume One

Il nuovo lavoro di Opio, per uno come me, diventa difficilissimo da recensire. Getto subito la maschera e dico che non ce la farò ad essere obiettivo: Vulture’s Wisdom Volume One, a livello di estetica, è vicino alla perfezione.
Ogni volta che si parla di Hieroglyphics mi devo ripetere e tirare fuori il solito, stantio aggettivo: “funkedelico”. Sarà un mio limite, ma francamente mi viene malissimo definire in maniera diversa l’attitudine di questo disco. Bassi potentissimi, sampledelia orientata indietro al 1995, ritmi non troppo veloci e una sovrassaturazione di funk (tastiere incluse) che sembra un distillato West Coast del classico suono di Long Island-Newark sono le caratteristiche principali, a livello musicale, di un prodotto realizzato sicuramente senza dare alcun peso a un possibile successo commerciale. Troppo “sporco” il funk, troppo nasty e stilose le rime di Opio per pensare che il disco arriverà al pubblico di massa.
Ma non è una critica: Opio (e il socio Architect ai beats), per quanto mi riguarda, fanno tutto bene, a parte la copertina, che fa obiettivamente schifo, e la lunghezza dell’album, che poteva certamente essere accresciuta di un altro paio di pezzi (con 39 minuti siamo più a livello di EP che altro, ed è veramente troppo poco)…
Il suono, obliquo quanto basta per essere personale, mantiene quel carattere un po’ “spaced-out” che avevamo ritrovato anche in Eleventh Hour di Del, anche se gli angoli, in questo caso, sono smussati meglio, con un equilibrio fra potenza e sottigliezza definito in maniera precisissima dall’opera di taglia e cuci di un Architect qui veramente in palla (e i primi 6 brani - su 14 - ne sono la dimostrazione più lampante, con una sequenza mozzafiato, ma tutto l’album è ad un livello ottimo).
E su questi tappeti sonori, c’è poco da fare, Opio spicca. A livello di liricismo puro siamo certamente al vertice. Opio si conferma MC di classe e mostra un’attenzione per l’arte della scrittura che rimane immutata dai tempi d’oro degli Hiero. Di lui stupisce la capacità di rigirare stili, rime e strofe in maniera talmente naturale da fare sembrare l’operazione senza sforzo, sia che si tratti di “autoincensamenti”, di elogi dei piaceri della carne o di tracce più concettuali.
Per carità, l’impianto rimane “classicheggiante”: non mancano gli omaggi non solo alla vecchia scuola newyorkese, ma anche ai classici della West Coast. E Opio non si complica la vita con ricerche troppo fini a sé stesse: quando è il caso, ricorre anche a sane dosi di ignoranza e di trivialità (spesso lasciandoci a bocca aperta per lo stylo, comunque)…
C’è poco da dire, il suono non sarà l’epitome dell’innovativo, gli argomenti non saranno i più nuovi, ma roba come questa manda tutti a casa.

6 commenti:

PZA ha detto...

some superfly shit,original lyricist e le altre anteprime mi piacevano molto e mi facevano ben sperare,
ancora non sento tutto il lavoro ma una recensione positiva non può fare altro che farmi piacere,
Buono a sapersi

Antonio ha detto...

Un disco veramente quadrato.

Anonimo ha detto...

scaricato al volo e sentito al volo.... grazie alla tua indicazione.

Giudizio: bello! Un paio di tracce stufano un po', ma le altre molto buone!

E soprattutto, finalmente delle basi che non mi fanno storcere il naso, moderne ma con un occhio alla "golden age", come giustamente hai fatto notare...

beh, che dire, buone vacanze!
ciao

Antonio ha detto...

Beh, a volte ci azzecco...
Alcune tracce sono effettivamente meno digeribili, comunque l'estetica e' quella giusta.
Per il resto, i bassi (lo dico a Marty) ci sono, e pompano eccome!

Anonimo ha detto...

Cazzo, cosi non c'è gusto, piace anche a me e non posso far polemica!!!!

Basta, questo blog ha chiuso per quanto mi riguarda....

Antonio ha detto...

hahahahaha!

Beh, ora recensisco un bel mattonazzo e vediamo se riusciamo a fare rissa...