giovedì 31 luglio 2008

Netflix

La moglie e la figlia non ci sono, e invece di scaricare porno come imporrebbe la netiquette del padre di famiglia-mostro insospettabile, ne approfitto per ascoltare nuove uscite hip hop, scriverne sul blog e per Superfly, chattare con grandi della storia musicale newyorkese (ha!) e, ogni tanto, vedere film talmente assurdi e strampalati che mi sarebbe impossibile guardarli insieme a Suvi (che, poverina, dopo Fear and Loathing in Las Vegas non si fida più di me…).
A questo proposito, non mi sono fatto mancare niente: dopo avere inutilmente tentato di vedere La Montagna Sacra del Maestro Jodorowsky (che comunque finirò prima di Agosto, promesso), mi sono buttato su due “vecchie” passioni.
Una è vecchia per modo di dire, dato che si tratta di un film del 2006, ovvero Cocaine Cowboys, un documentario che rispolvera il periodo reso immortale da Miami Vice, cioè gli anni ’80 della coca a Miami. Film istruttivo e interessante, che ci spiega che
Griselda Blanco >> Rick “C.O.” Ross (incredibile ma vero, i rappers raccontano bugie!). Illuminante sotto molti punti di vista, non ultimo per la teoria di Jon Roberts che Don Fabio Ochoa fosse il vero burattinaio di Escobar. Un film sicuramente a metà fra l’interessante e il disturbante, che svela una faccia del sogno americano abbastanza inedita, al contempo smerdando tutte le cazzate da film sugli spacciatori.
Qualcuno sa che cosa è successo a Griselda dopo la fine delle riprese?
Il secondo film è invece una vecchia ossessione, dato che si porta avanti sin dai tempi del ’93. All’epoca lo cercai in tutti i modi, dai cataloghi mailorder ai negozi di Sassari che non ne avevano mai sentito parlare. Si tratta di Gift, il film di Perry Farrell e Casey Niccoli.
Ora, nonostante la mia intrinseca negritudine (word to Werther), all’esterno appaio bianco (persino a fine luglio!), ed in qualche modo questa cosa mi condiziona.
Tanto da farmi provare empatia con Chan Marshall, durante uno degli esaurimenti live di Cat Power (è successo davvero, a Reading nel 2000. Mi ricordo come ci guardammo, basiti, con l’amico Rohan), e tanto, soprattutto, da farmi scegliere i Jane’s Addiction come una delle mie bands preferite di sempre. Farrell nel 1993 era un guru, ma soprattutto, era pieno di eroina, direi. Il risultato è Gift, film favoloso, cialtronesco e assolutamente geniale allo stesso tempo.
Il mondo di Gift sembra un precursore eroinomane di Happiness, ma senza quella specie di sorrisetto borghese che ci possiamo figurare sulla faccia della troupe mentre girava. Qui quella specie di “moralismo cosmico” non esiste, i personaggi malati e surreali (compresi i protagonisti Perry e Casey) sono una sorta di esorcismo a Venice Beach (quella che si avvicina più all’ultimo J-Swift crackomane-homeless che non alle ville dei ricconi WASP).
I due (all’epoca) amanti non lesinano sulla sickness e sulla morbosità (qualcuno ha detto necrofilia?), inframmezzando il tutto con spezzoni live dei Jane’s e chiudendo il film col bizzarro duetto fra Perry e Ice T (Don’t Call Me Nigga, Whitey). Un trip senza capo nè coda, ma con tante stranezze e incongruenze. Bellissimo, come le sculture della Niccoli, che affollano il film. Il senso è un optional, però. Come nel caso del match
Jane’s-Body Count...
Ora mi restano il già citato La Montagna Sacra, la doppietta Tragedy, the Story of Queensbridge e Rhyme and Reason (che voglio rivedere) e il Dark Knight. Scommettiamo che il più deludente sarà quest’ultimo?

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