giovedì 2 luglio 2009

DJ Muggs Uncut pt. 1

DJ Muggs è da oltre quindici anni il campione indiscusso di quel “gotico californiano” che si è imposto nella costa ovest come musica alternativa al G-funk di maniera, e che fonde senza sforzo elementi del “brown pride” messicano, sobrietà East Coast, funk “stonato” e influenze vagamente horror. Durante la seconda metà degli anni ’90, Muggs col suo stile ha forgiato il suono di alcune delle band più importanti per quanto riguarda il cosiddetto cross-over fra suoni hip-hop e rock, come Cypress Hill, Funkdoobiest e House of Pain, capaci di attingere a un serbatoio di fan fino a quel momento irraggiungibile per la musica “urban”. L’intervista è apparsa in versione editata nel numero 17 di Superfly e viene qui presentata per la prima volta in versione completa.

Iniziamo con la domanda alla quale in Italia tutti sono interessati. Parlaci delle tue radici italiane...
La mia famiglia è di Napoli, così come mia madre. Il mio vero cognome è Cavatti, ma sono stato adottato dal mio patrigno e quindi ho dovuto cambiare cognome.

Pensi che queste radici abbiano influenzato in qualche modo il tuo modo di fare musica?
Le mie radici mi hanno influenzato come uomo in generale. Penso che tutto ciò con cui vieni in contatto, che sia positivo o negativo, ciò che vedi, senti e tocchi ti influenza in maniere diverse. Ma per rispondere più nel dettaglio, si, quel senso della famiglia, quella vicinanza e quell’idea di proteggersi a vicenda, tutto ciò mi ha influenzato nell’avere una crew molto vicina e nel prendermi cura di tutti.

Sono queste le idee che hanno dato origine ai Soul Assassins, un nome che è sempre stato un tuo marchio di fabbrica?
Si tratta di una crew, una crew estesa. Non tutti i Soul Assassins sono rapper o DJ. Alcuni sono fotografi, altri fanno video, hanno talenti diversi. Quando è nata la crew, era una specie di “gentlemen’s club” dove ognuno si prendeva cura degli altri.
Alcuni dei miei “homies” scattavano le foto, noi facevamo musica, eravamo una bella squadra che si guardava le spalle. Ci sostenevamo a vicenda. Quando qualcuno aveva bisogno di qualcosa, gli altri c’erano.

All’inizio il nome dei Soul Assassins era associato ad una specie di “super-coalizione” musicale, che poi, nel corso degli anni, si è trasformata in un movimento artistico più globale. Come è avvenuta questa transizione?
È vero, ma non fraintendermi, si tratta sempre e soprattutto di musica, ma non sono più solo Cypress Hill, House of Pain e Funkdoobiest. Quello è stato l’inizio. Ora invece si tratta di Cypress Hill, House of Pain, Alchemist, DJ Khalil, Chase Infinite, Psycho Realm: è sempre un fenomeno musicale, ma si è espanso, capisci? Siamo cresciuti: come uomini, non rimaniamo immobili, ci muoviamo e cambiamo ogni giorno, e ciò che siamo diventati è una marca internazionale che identifica uno stile di vita. Siamo artisti: la nostra arte non si ferma alla musica o alla fotografia; siamo artisti che si applicano all’audio e agli aspetti visuali, alle immagini ferme ed in movimento. Nel gruppo ci sono persone che posseggono sei o sette ristoranti, sai? Cucinare è un’altra arte. Chiunque abbia abbastanza talento da poter contribuire alla squadra ed è in giro da anni è accettato, e sta con noi.

Come si è evoluta l’idea di squadra iniziale in un movimento più organizzato e quanto peso hanno avuto persone come Estevan Oriol e Mr. Cartoon in questo sviluppo?
Si è evoluta naturalmente. Avevamo tutti uno scopo comune, eravamo tutti in campo per farcela. Io coinvolgevo fotografi, e videomakers: non appena iniziavano ad avere una carriera, si allontanavano e non mi ringraziavano neanche. Per cui, ad un certo punto, mi sono detto che sarei ricorso soltanto ad Estevan per le mie immagini fotografiche, in modo che fosse lui a fare soldi, perché ero stanco di aiutare gente che poi non ci aiutava a sua volta. Per quanto riguarda Estevan e Mr. Cartoon, è andata che avevo dato a Estevan il compito di road manager degli House of Pain, ed Estevan era l’unico con la macchina fotografica, quindi faceva le foto. Quando mi portò le sue foto, pensai che fossero buone quanto quelle di fotografi per i quali pagavamo decine di migliaia di dollari, e gli dissi: “Da oggi, fai tu le foto!”.
Cartoon si è aggregato in seguito, ci sono voluti alcuni anni per accettarlo nel team, ma quando questo è avvenuto, è stato in grado di arricchire il team e accrescerlo. Questo vale anche per tutti gli atri. Prendi Alchemist e Khalil, per esempio, due dei migliori produttori del giro hip-hop: ognuno di noi aggiunge tasselli al puzzle e lo migliora.

Visto che hai parlato di Alchemist e Khalil, che hai cresciuto sotto la tua ala, stai ancora cercando di aiutare nuovi produttori giovani ad entrare nel giro?
Sì, ogni giorno. La cosa è che quando ero un ragazzino, ed ero così eccitato di fare questo mestiere, non c’è mai stato nessuno ad aiutarmi e a farmi da mentore.
I Cypress Hill non hanno avuto un gruppo che li abbia aiutati ad entrare nel giro. Per cui, quando vedo questi ragazzini, penso di poterli aiutare a superare tanti livelli, in modo che non debbano affrontare tutti i problemi che abbiamo avuto noi: posso guidarli, e quel talento che hanno poi farà il resto. Posso dirigerli nella direzione giusta, e dare qualche suggerimento lungo la strada, ma alla fine il loro talento li porterà dove possono arrivare. C’è un ragazzino nuovo, Gonzoe, e lo farò esordire sulla prossima compilation dei Soul Assassins: è bravissimo e molto giovane (ha 18 anni), e sarà il prossimo. Abbiamo un sacco di talento nelle nostre fila, e non c’è bisogno di cercare al di fuori, soprattutto perché ci sono tanti artisti di cui non si sa, ma che abbiamo aiutato a crescere, e che una volta arrivati, sentono di non avere più bisogno di noi perché si sentono più importanti del gruppo. Ma non lo sono, credimi. Come li ho fatti entrare nel giro, posso farli uscire: basta che dica a tutti di non lavorare con loro, e sarà finita. Ma invece (i produttori del giro Soul Assassins) hanno rispetto, hanno onore: ogni volta che Khalil o Alchemist fanno qualcosa mi coinvolgono. Se la mia stagione è ottima, li tiro dentro, se invece è la loro stagione ad essere ottima, fanno lo stesso. E di questo che si tratta.
Il nostro scopo non è quello di stare qui a tirare fuori solo una hit. Il nostro scopo è quello di stare qui per 40-50 anni, puntiamo alla longevità.

A proposito di questo, ad un certo punto della carriera hai smesso di puntare sui campionamenti, scegliendo invece di risuonare le tue composizioni. Qual è stato il motivo?
I soldi. È diventato veramente difficile avere la possibilità di usare i campioni. Coi Cypress Hill pagavamo talmente tanto per la liberatoria che mi sono arrabbiato da morire. Pagavamo milioni di dollari per poter mettere i campioni sui dischi, per cui ho deciso che per alcuni anni non volevo più avere a che fare con quel sistema e buttare via tutti i miei soldi. Il paradosso era che vendevamo due milioni di copie ed eravamo sempre in perdita: non ha senso, vero?
Mi piace l’arte del campionamento: è una cosa meravigliosa, anche se un sacco di gente ne ha abusato. È per questo che sono tornato a campionare.
L’altro vero motivo per cui avevo smesso era perché sono un artista che vuole rimanere creativo: non volevo dipingere sempre gli stessi quadri, volevo sperimentare coi colori e con le “textures”. In poche parole, come artista, volevo mettermi alla prova. E allora ho iniziato a provare quali fossero i miei limiti, dove potevo arrivare, e così sono venuti fuori dischi come Dust, o il disco insieme a Tricky, o Rock Superstar. Quando mi sono messo a fare esperimenti con gli strumenti dal vivo (mi sento un’artista di avanguardia, un po’ astratto, un po’ poco ortodosso) è stato perché mi piace fare cose diverse.

Quando è stato che hai iniziato a usare parti suonate? Posso certamente sentirle in Cypress Hill IV...
Ci sono parti suonate praticamente in ogni mio disco. Anche nel primo album dei Cypress Hill, anche se è tutto molto sottile, dato che avevo cercato di evitare che queste dominassero le tracce, ed invece fossero in grado di mescolarsi con la musica per divenire parte delle tracce. In altri casi ho lasciato che le parti suonate divenissero l’asse portante del pezzo, ma per la maggior parte ho cercato di mescolare le cose.

Quali sono state le maggiori difficoltà che hai dovuto affrontare per cercare di preservare quel suono “polveroso” che è il tuo marchio di qualità?
Nessuna, in realtà. Mi piace la strumentazione live, e penso che sia importante che suoni come se fosse parte di un campione. Non mi appassiona quel tipo di suono pop, pulito e ben levigato che non mi è mai piaciuto. Mi piace il suono grezzo (“gritty” in originale, N.d.T.), tipo la roba dei Led Zeppelin, che sembrano demo registrati su un otto piste a casa. Il problema è rendere grezzo il suono degli strumenti dal vivo: è in sè un vero e proprio talento.

E come ci sei riuscito, allora?
Sperimentando. Provi delle cose, non funzionano, ne provi altre e funzionano. Alla fine ho capito come fare: sei come uno scienziato, provi diverse combinazioni di sostanze chimiche, alcune funzionano, altre no. Ma quando qualcosa funziona, ti indirizza verso la via da seguire, e trovi il sentiero giusto durante il viaggio.


8 commenti:

Anonimo ha detto...

bella l'intervista...complimenti...ma "gotico californiano" mi dispiace ma non penso sia la giusta definizione...

RARASHIXXX

Antonio ha detto...

Aspetta le altre due parti...

reiser ha detto...

Eh una delle migliori interviste lette su Superfly dell'ultima stagione
Complimenti seppur in ritardo

Comunque fa sorridere che di Dust non parli mai

Anonimo ha detto...

non vedo l'ora

RARASHIXXX

Antonio ha detto...

Comunque fa sorridere che di Dust non parli mai

Hai ragione, ma si va in automatico e non è capitata l'occasione... Anche del progetto con Tricky e Dame Grease gli avrei voluto chiedere qualcosa, ma non è capitato.
Mi piglio i complimenti, comunque. ;-)

reiser ha detto...

A scanso d'equivoci: non voleva affatto essere una critica, è solo per dire che lui per primo non sembra essere orgogliosissimo di quel disco. Comprensibilmente.

Anonimo ha detto...

Che fine ha fatto Gonzoe?
sull'ultimo soul assassin, non c'è la minima presenza.

Antonio ha detto...

Io penso che si tratti di un omonimo, e che sia quel G-qualcosa che ha prodotto qualche beat su Intermission. In ogni caso il disco "vero", Soul Assassins vol. 3 non è quello appena uscito.
Vediamo...