venerdì 3 aprile 2009

Thirstin Howl the 3rd, Uncut (parte 1)*

*Originariamente apparsa in versione tagliata su Superfly 18 col titolo di LO-LIFE ORIGINAL, Intervista a Thirstin Howl the 3rd e qui presentata in versione integrale per la prima volta.

Quando lo sento telefonicamente, a New York sono le 9.30 di mattina di un venerdì di fine giugno. Thirstin Howl the 3rd è già in pieno “New York state of mind”, guardingo ed asciutto nelle proprie risposte come si conviene ad un guerriero che ha combattuto molte battaglie. Le risposte pacate si allungano gradualmente e lentamente l’OG di Brownsville si apre. In ogni caso, c’è una nota nella sua voce che ti fa capire che, nonostante l’atmosfera rilassata, questo è un uomo che ha il fuoco nelle vene (“Dentro sono ancora una bestia”- dice, con una serietà che farebbe impallidire i personaggi della Sin City milleriana).
Del resto, non si sopravvive all’era della “Million Man Rush” (il periodo in cui esplose il fenomeno del “boosting”, ovvero del saccheggio dei grandi magazzini da parte dei giovani del ghetto di Brooklyn) se non si è speciali. Negli anni ’80, Victor DeJesus (ovvero Vic-Lo, ovvero Thirstin Howl the 3rd) fu fra i fondatori della gang Lo-Lifes, quella che ha rivoluzionato la storia della moda e dei costumi dell’hip-hop. I Lo-Lifes, fusione di Ralphie Kids e Polo USA (United Shoplifters Association), sono stati i primi a portare in primo piano una ossessione per l’abbigliamento Polo di Ralph Lauren che a tutt’oggi non accenna a cessare e che continua a influenzare trasversalmente tutto l’ambiente hip-hop. Negli anni d’oro, si stima che i membri dei Lo-Lifes abbiano rubato dai grandi magazzini newyorkesi centinaia di migliaia di dollari di vestiario Polo (alcuni parlano persino di milioni di dollari), lasciandosi dietro un’eredità di violenza e galera ma anche, nelle parole di Thirstin Howl the 3rd, di “Love & Loyalty”. Oggi gli errori hanno lasciato il posto alla responsabilità, e Thirstin si racconta con franchezza, mostrando una intelligenza, una passione per la musica ed una saggezza certamente rare, nel mondo dell’hip-hop odierno.

Ti sembra strano che ci sia qualcuno che ti chiama dall’Italia per chiederti dei Lo-Lifes?
No, non è strano. Mi arrivano telefonate da ogni parte del mondo. Sono sicuro di aver già fatto un’altra intervista per l’Italia, in precedenza.
Sono interessato a sapere come e perché è iniziata questa attrazione verso l’abbigliamento Polo. Cosa ci puoi dire in proposito?
Tutto è iniziato nei primi anni ’80, a Brooklyn. Era circa il 1983 o il 1984, molti di noi erano affascinati dalla moda newyorkese, le pellicce, le tute Adidas e tutto il resto. Polo rappresentò soltanto l’evoluzione di tutto questo, nella moda, con quei colori brillanti e via dicendo. Eravamo quasi tossicodipendenti di roba Polo.
Sei tu che hai inventato il termine “Lo-Lifes”, vero?
Si, sono stato uno dei fondatori, sono stato il primo a chiamarci Lo-Lifes e sono stato quello che ha cercato di tradurre che cosa significasse per noi indossare l’abbigliamento Polo e “rappresentarlo” per la vita. Sono anche stato una delle persone che ha trasformato i Lo-Lifes in un movimento internazionale.
Senza dubbio. Ho letto la storia della ragazza che ti chiamò “lowlife” (malvivente), che tu storpiasti in Lo-Life perché ‘Lo (diminutivo di Polo) era la tua vita. È vera?
Si, è tutto vero.
Ti sei reso conto subito che si stava formando un movimento unito che sarebbe durato così tanto?
Non avevo idea di che cosa sarebbe diventato fino a oggi, non avevo idea che avrebbe fatto tanta strada e che sarebbe stato un fenomeno seguito e diffuso quanto poi lo è stato. All’inizio, quando sono nati i Lo-Lifes, molti di noi, i “generali” della gang, quelli che avevano la maggiore influenza, furono praticamente tutti arrestati. Ad un certo punto, tutte le persone di spicco erano in galera, e quello è stato il momento in cui il movimento si è veramente diffuso, perché non avevamo il controllo su chi poteva entrare a farne parte. Venivano accettati tutti, e la gang si espanse in modo assurdo.
Fu questo il periodo in cui iniziò tutta la violenza e subiste delle perdite importanti?
Diciamo che quella era una costante dall’inizio. Tutti i drammi, e i soldati caduti, e le guerre, c’erano dall’inizio.
Qualcuno vi ha definito la prima vera gang di New York, paragonandovi a Bloods e Crips…
No, le ganga New York ci sono sempre state, sin dal diciannovesimo secolo. Noi veniamo da una sezione di Brownsville, Brooklyn, che è stato il posto in cui Al Capone e Murder Inc. avevano il quartier generale negli anni ’40 e ’50. Durante l’era d’oro della mafia, un sacco dei protagonisti venivano da Brownsville, così come, successivamente, i Tomahawks e i Jolly Stompers (storiche gang newyorkesi, N.d.T.), come pure un sacco di altre gang.
Penso che noi siamo stati, anche se forse non direi la prima, una delle prime gang della generazione hip-hop. Anche i Tomahawks di Brooklyn ebbero una parte rilevante: quando l’hip-hop nacque, loro erano già in giro da tempo. I Lo-Lifes furono certamente una delle gangdella golden era dell’hip-hop.
Ma eravate veramente come i Bloods e i Crips o c’erano delle differenze fra voi e loro, mi sbaglio? Mi sembra che i Lo-Lifes avessero un senso di unità che gangcome Bloods e Crips non hanno…
In realtà ti sbagli, avresti dovuto essere coinvolto nell’organizzazione di quelle gang per capire che cosa era l’unità e che cosa rappresentavano. Questo vale per praticamente tutte le organizzazioni. Per quanto riguarda i legami fra Lo-Lifes e Crips e Bloods, i Lo-Lifes esistevano da prima, e infatti diedero origine ad un sacco di fazioni di Bloods e Crips. I Lo-Lifes più giovani sono poi diventati i generali di quelle altre ganga New York, ad un certo punto.
Ma che cosa rappresentano i Lo-Lifes?
I Lo-Lifes sono una questione di “love and loyalty”. È una questione di onestà, di aiutare gli amici (come farebbero loro con te) e di promuovere l’amore e la lealtà come valori principali. Anche ora, nel mondo musicale, e in tutte le altre attività che svolgiamo, tutti quelli che fanno parte nell’organizzazione a livello musicale (sono praticamente 20 anni, ormai) fanno un discorso di “love and loyalty”. Non stiamo cercando altri artisti e cose del genere, tutte le risorse che abbiamo le reinvestiamo in questo senso.
Quindi portate avanti un messaggio positivo, al contrario di quel che pensano certe persone che vedono nelle gang solo una fonte di violenza?
Certamente siamo un gruppo di persone che hanno una serie di valori morali positivi, e non perseveriamo negli errori del passato. Non andiamo certamente in giro a promuovere lo stile di vita Lo-Life che incarnavamo un tempo: invece la maggior parte di noi sono padri di famiglia, con una serie di responsabilità, un atteggiamento di positività e valori precisi.
Allo stesso tempo, abbiamo dato origine ad una sottocultura di strada, portando un po’ della nostra cultura nella moda “street” e via dicendo: certamente non promuoviamo negatività e violenza.
Quando è stato che hai abbandonato lo stile di vita sregolato dei “boosters” per fare posto a un atteggiamento più responsabile?
Per quanto mi riguarda, ho sofferto delle conseguenze molto gravi con la legge, ma anche col karma, e ciò mi ha fatto evolvere nell’uomo che sono oggi. Non penso di avere smesso di essere una persona scatenata (“wild” in originale, N.d.T.), perché dentro sono ancora una bestia, ma ho imparato a trattenermi.
Non definirei ciò che ero prima né positivo né negativo: era solo essenziale per la mia sopravvivenza nel posto da cui venivo, era solo un training per sopravvivere dove ero condannato ad esistere. Molto era legato all’istinto naturale, piuttosto che al fatto che io fossi selvaggio, violento o negativo. Mi basavo sull’istinto naturale per sopravvivere nel posto dove ho vissuto. Questo era quello che mi è stato insegnato.
Le conseguenze mi hanno veramente aiutato ad evolvermi nella direzione odierna, perché ho subito un sacco di conseguenze, come la prigione, eccetera.
Ti sei mai pentito di qualcosa?
No, non sarei la persona che sono oggi, senza quegli errori e le successive conseguenze. E non solo: voglio dire, i periodi passati in prigione, ad esempio, hanno portato a molte delle opportunità che ho poi avuto successivamente.
Nell’hip-hop odierno imperano l’esaltazione della delinquenza e un materialismo idiota. Che cosa pensi dello stato attuale dell’hip-hop?
Lo stato attuale dell’hip-hop, per quanto alle persone possa non piacere, è tutto parte dell’evoluzione. Per quanto molti di noi possano avere difficoltà a capirlo o ad apprezzarlo, è tutta una questione di evoluzione. Che sia idiota o no, è tutta questione degli errori che fanno parte della crescita dell’hip-hop, se questo è il termine che vogliamo usare, perché ora un sacco di persone non vedono nessuna crescita, se non a livello finanziario. Dal punto di vista creativo, invece, l’hip-hop sta morendo, visto che tutto si basa sulla commercializzazione. Ora si stanno screditando perfino il ghetto e le prigioni. Tutte le cose creative legate a certi stili di vita ed ad una certa immagine vengono dal ghetto, e tutti vogliono prendersene il merito, ma senza riconoscerne pubblicamente l’origine.
Infatti, si usa la prigione come mezzo per autopromuoversi… non ti da fastidio, questo?
Personalmente non mi interessa, io non glorifico l’immagine della prigione, solo perché ci sono stato, sono sopravvissuto e mi sono fatto un nome lì. Questa è una cosa ignorante e stupida, secondo me. Chi glorifica la prigione, dovrà dare prova di sé stesso, e questa è l’altra faccia della medaglia… Non auguro la prigione ai miei figli. Un sacco di volte, quando ci sei in mezzo, se non capita a te, capita a qualcuno che ti è vicino, e questo, ad un certo punto, ti farà aprire gli occhi.
Una tua caratteristica a livello musicale è l’impiego di humour ed ironia. Era una condizione indispensabile anche per la vita da Lo-Life?
Durante il periodo dei Lo-Lifes, non sono mai stato un rapper, non ho mai rappato. Ho iniziato a rappare alla fine degli anni ’90, e quando l’ho fatto, la mia musica, in maniera naturale, è venuta fuori con quello stile comico. Non era una cosa prestabilita, ma semplicemente il modo in cui è venuta fuori. La cosa curiosa è che, dove abitavo, la gente che mi conosceva non riusciva a riconoscersi nella mia musica, perché io non ero una persona divertente. Ero una persona molto seria con cui non si scherzava, per cui quando feci tutta questa “comedy music”, un sacco di persone non la capivano, non riuscendo a identificarla con la mia persona, con chi ero veramente. Io credo che, a rappare della mia vita, di quanto ero gangster e cose simili, non ci fosse nessun tipo di abilità. A me sono sempre piaciuti i rapper che puntavano tutto sulla tecnica e sul carattere, e penso che per essere il rapper migliore uno debba cercare di fare quello che non fa di solito, prendere dei rischi e spingersi verso i propri limiti. Avrei potuto scrivere di quanto ero gangster, ma invece ho scelto di fare ridere la gente. Questo, probabilmente, perché ero a mio agio con me stesso, e tutti sapevano chi ero veramente, per cui non avevo paura di tirare fuori la mia creatività. La meta principale che mi sono sempre posto è di essere creativo e incomparabile. Volevo essere sicuro che nessuno potesse copiare quello che io posso fare, e credo, sinceramente, di avere raggiunto lo scopo.

1 commento:

Anonimo ha detto...

una vera lezione che dovrebbero imparare mooooolti degli attuali rapper che hanno sfondato le balle a voler fare i ghettusi a tutti i costi. can che abbaia non morde...