sabato 8 gennaio 2011

Guida (S)Ragionata a Esse Esse War Volume 1

Più o meno due mesi fa, usciva in free download la compilation Esse Esse War Volume 1, il primo di una serie di “mixtape”[1] tesa ad illustrare in maniera relativamente esaustiva quella che è la scena hip hop sassarese.[2] Ed in questo sta il maggiore trionfo e, allo stesso tempo, la sconfitta della compila.[3]
La “scena” sassarese, infatti, è affascinante per una serie di ragioni,[4] la prima delle quali è che non è una scena nel senso comune del termine. Infatti, a Sassari non esistono artisti sotto contratto di qualsivoglia etichetta, dischi prodotti professionalmente (se si eccettua Un Attimo Di Riflessione di Giocca, uno dei prime movers della città e uno dei rappers con maggiore seguito cittadino, che se lo è fatto mixare in Francia) o vecchie glorie, anche bollite, con qualche cicatrice di battaglia.[5] Queste caratteristiche sono riscontrabili in altre zone importanti dell’isola, come Nuoro (culla degli “O.G.” Menhir, ancora attivi e padrini dell’hardcore sardo) o Cagliari (patria degli ex Sa Razza/SR Raza, uno dei gruppi storici del periodo “posse”, e altri nomi un tempo conosciuti come Maku Go &Sardo Triba, fra gli altri).
Eppure a livello di rap fatto bene (qualunque cosa ciò voglia dire: per comodità, mi riferisco a quello con testi ben scritti e/o arguti, ben rappati a livello metrico, e basi musicali ascoltabili ancora dopo un mese dal download), né Cagliari né Nuoro, se uno è onesto intellettualmente, possono essere minimamente paragonate a Sassari, oggi[6]: Nuoro per motivi prevalentemente numerici, Cagliari per motivi storico/culturali.
Infatti, se a Nuoro non mancano gli MC (molto) validi dal punto di vista tecnico, è forse l’esiguità dei partecipanti a costituire il punto debole della città barbaricina. Cagliari, invece, sebbene capace di assurgere spesso alle cronache (quantomeno quelle di defunti magazine “mitici” come Aelle), storicamente è sempre stata scarsa proprio dal punto di vista tecnico, interessata invece a pose da poseur[7] che replicassero le cafonerie West Coast in salsa di mirto e olive.[8]
Come dicevo, il paradosso e l’interesse di Esse Esse War Volume 1 stanno entrambi nel fatto che quello sassarese è un “movimento” che, sebbene anche il più ingenuo degli osservatori non può non considerare destinato a non andare da nessuna parte, si mostra vitale e, cosa più importante, valido dal punto di vista eminentemente “artistico”.[9]
Certo, quello che la compilation evidenzia è che i segnali sono spesso contraddittori, le direzioni spesso non ancora affinate e i pezzi di qualità (sonica e lirica) altalenante, ma alcune (piacevoli) conferme si possono certamente trarre.[10]
Sassari non è Milano, in cui i ragazzini, a colpi di “zio”, possono sognare di diventare i nuovi Dogo, qualunque cosa ciò voglia dire,[11] e non è Roma, dove i fantasmi possono essere esorcizzati a colpi di vizio e di nichilismo (invero) romanzato in stile Romanzo Criminale e/o TruceKlan.
Sassari è un posto di profondo disagio sociale, in cui la gente rifiuta quella che da altre parti è l’alternativa più logica, per quanto dolorosa: andare via.
A Sassari l’aggettivo “urbano” porta con sé caratteristiche solo negative: si sente nel cemento e nella speculazione edilizia. Tutto ciò che di buono hanno gli agglomerati urbani (centri sociali, eventi di tipo culturale, concerti, tanto per dirne tre), a Sassari non esiste.
Sassari, nel bene e soprattutto nel male, non è “cool”. A Cagliari ho visto un concerto dei Sonic Youth (!), a Sassari al massimo qualche buona band italiana (tipo gli Afterhours).[12]
A Sassari, se fai rap non sei nemmeno un “nemico” o uno da reprimere. Al limite sei uno strano. I fascisti e i figli di papà vanno in discoteca, e nella società del consumismo hanno già vinto, con le loro macchinone e il cash facile. Agli altri, come quelli di Esse Esse War Volume 1, resta il microfono, il computer/campionatore e due giradischi (o un controller).[13]
È questo denominatore comune a tenere insieme il disco: non una celebrazione della “sassaresità/sassareseria” (così ben caratterizzata, nel bene e nel male)[14], ma una guerra a colpi di decibel dal retrogusto più disperato che anti-sociale, filtrato attraverso un immaginario antagonista (un po’ horror-metal, a volte, vedi i campioni dei film usati come intro) e fieramente tecnico.
A Sassari, nessuno si può permettere di rappare di soldi, coca e puttane: intanto perché nessuno ha abbastanza grana per farlo, e poi perché l’America (figurativamente e letteralmente) è davvero lontana.
Gli sbirri non ti pestano, e allo stesso tempo non si fanno corrompere:[15] quindi tutto quello che ti resta è comprare un po’ di alcol e qualche spinello e stonarti di sostanze che creano dipendenza e soprattutto di musica.
Musica che, dal punto di vista stilistico, ha relativamente pochi punti di omogeneità, per la verità. In Esse Esse War Volume 1, se i Gremi Flow si fanno portatori di un’estetica abbastanza “dark” (debitrice di certe produzioni di Dr. Dre e Eminem in senso lato, sembrerebbe), gli Ashtra Gubba optano per una sampledelia “trash” anni ‘80. Se i South’s Seed si uniformano al credo più paradossale di un “dirty South” alla sassarese (Auto-tune e colpi di simil 808 inclusi), i Rigantanti rimangono sul soul più classico. Se Cosimo Martinez segue una traiettoria più elettrica e “moderna”, i Raighinas riescono nell’impresa di registrare Syl Johnson sotto un cuscino.[16] Senza dimenticare il boom-bap classico metà anni ‘90 su cui Giocca cesella l’anthem sassarese su cui rappano tutti i protagonisti del disco e il groove West della “smokin’ life” di Senka.
Facendo un attimo una digressione, forse questo è il difetto più visibile della “scena” hip hop sassarese (ma non solo): mentre le controparti metal dei rapper sognano (probabilmente) di fare dischi con la coesione stilistica di un album dei Sabbath, degli Slayer o persino di Marilyn Manson, chi appartiene alla generazione hip hop odierna, cresciuta con album generalmente “patchwork”, non può concepire affatto l’idea di compattezza sonora.[17]
Appena alcuni dei membri della scena sassarese riusciranno a costruirsi una identità musicale forte, vedremo se faranno cadere le premesse di ciò che mi ha portato a scrivere qui.[18]
A livello di versi, le cose sono più semplici e più complicate allo stesso tempo: i protagonisti spesso si mischiano sulle tracce, e, quando ciò accade, si contaminano a vicenda.
Come detto, prevale un sentimento “antagonista” e “dannato”, ma fra le metafore e le punchlines lasciano intravedere il tentativo di crearsi un proprio mondo personale, al di là della musica. E questo avviene mischiando lo slang sassarese con l’italiano e imbastardendolo ulteriormente con espressioni in americano. Il tutto, va sottolineato, avviene con fluidità e non, come accadeva per l’allucinante costrutto di un falso cagliaritano-messicano-slang giovanile dei SR Raza, con una rigidità di fondo spaventosa e una logica incomprensibile (se non all’interno dello scimmiottamento di soluzioni dell’hip hop USA).
Quello che si evince dall’ascolto è che a Sassari non ci sono rappers “scrausi” nel senso vero del termine: alcuni sono più bravi e/o più interessanti da ascoltare, alcuni sono più “chiusi” di altri, ma nessuno lascia mai quell’amaro in bocca[19] che resta dopo l’ascolto di presunti “pezzi grossi” della scena romana o milanese, per citare i posti da cui escono alcuni dei rappers più famosi del momento.[20]
Il resto sono canzonette: ma canzonette che identificano una “scena” che, se le condizioni al contorno fossero diverse, potrebbe dire la sua.[21]
L’otto dicembre 2010, il mixtape Esse Esse War Volume 1 è diventato una performance artistica in un locale di Sassari: il biglietto d’entrata era di 5 euro, e ne sono stati staccati più di cento. Per una scena che non esiste, è un risultato da non sottovalutare.[22]



Piccola guida alle crew di EsseEsse War (in ordine alfabetico):

Ashtra Gubba: duo formato da Sparra e Nepa. AG si distingue per testi di livello spesso alto e di natura (a volte) supertecnica, e per beat (di Sparra) con campionamenti anni ‘80. Passerà, spero, anche se in verità AG è uno dei gruppi che più stanno lavorando a livello di coesività musicale (e gli esiti sono certamente personali). Sono sicuro che se Sparra vivesse a Milano sarebbe conosciuto in tutta Italia.
Brigata Klandestina (o BK): trio formato da Konflitto, Sam61 e B-Raid. BK trae le proprie ispirazioni dai momenti più politicizzati del fenomeno delle posse. A parte qualche caduta nel retorico (perdonabile per la scelta di un tale preciso sotto-genere di rap), una critica che si può muovere al gruppo è quella pecca a volte di identità, nel senso che Konflitto va spesso più sul versante politico e Sam su quello “sociale”. Se facessero i solisti, forse ci guadagnerebbero.
Gremi Flow: Maru, Shine e Carne (il nome peggiore di tutti i rappers sassaresi) sono fra gli MVP del disco Esse Esse War Volume 1. In particolare Carne se la cava molto bene anche come produttore. Appena imparerà a variare un po’ le tracce di batteria e i suoni del drumkit, diventerà uno dei più bravi di Sassari (e non solo).
MCP/Morto che Parla: Senka e Josè Quervo (il nome migliore fra quelli dei rappers sassaresi e uno dei migliori d’Italia certamente) hanno nel DNA il funk californiano, ma anche il gotico in moviola di Soul Assassins-Psycho Realm. Senka, in altre condizioni, avrebbe i numeri per essere una “stellina” della scena italiana. Dovrebbe andare via da Sassari.
NBT: crew formata da Emana e Cosimo Martinez, si segnala per un rap un po’ “chiuso” e beat di discreta fattura. Dovrei sentire più roba, ammetto.
Raighinas: i giovani Futta e Don Malo da Carbonazzi rappresentano la faccia più “tirriosa” (rabbiosa) del rap sassarese. Mangiano “l’hardcore più marcio” e, a parte qualche caduta dovuta all’inesperienza, sono bravini dal punto di vista tecnico. Vedremo come evolveranno dal punto di vista eminentemente musicale.
Rigantanti: Kabaddu e Vlade sono i rappers dal piglio meno incazzato e più ironico di Sassari, e annoverano fra le influenze anche i ritmi (riddim) giamaicani. Sono fra i pochi a nobilitare l’innata rozzezza (in slang “grezzuria”) cionfraiola dei sassaresi. L’intro di Janine è un classico.
South’s Seed: per me l’idea di basi rap “moderne” a Sassari è decisamente perdente, ma forse sono io ad essere un dinosauro.[23] In ogni caso, i ragazzi sono giovani e miglioreranno, immagino. A livello musicale, ciò che manca in originalità lo mettono in esecuzione (traduzione: anche se non mi piacciono i beats, sono fatti bene).
WooDoo Clan (o Ganja WooDoo Clan o GWC): il gruppo più storico di Sassari, formato da Giocca e Moza (e c’è anche Bolder), cui ora si è unita Bantu G (ovvero Gaelle, la moglie di Giocca). Giocca e Moza non potrebbero essere più diversi come stile e personalità, ma quando si integrano funzionano quasi sempre (e hanno prodotto miliardi di demo). A solo, di solito Giocca è funky-soul e Moza paranoico e “stonato”. E va bene così.

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[1]. Con questo termine, preso in prestito dall’americano, si designano di solito prodotti non “ufficiali” messi insieme in genere da DJ del circuito “street”. Sebbene oggigiorno non siano più né tape (nastri) né (spesso) mix, il nome è rimasto, anche per indicare quella che in questo caso sarebbe forse più corretto designare come “street compilation”.
[2]. Mancano alcuni gruppi e/o personalità importanti nel contesto cittadino, ma sono eccezioni che non inficeranno i ragionamenti che tenterò di sviluppare più sotto.
[3]. Ad oggi (8 gennaio 2010) pare che il CD sia stato scaricato, download più, download meno, circa 800 volte, che mi sembra un numero tutt’altro che disprezzabile, tutto considerato.
[4]. Da piccolo, parteggiavo per i Cartaginesi e per gli Indiani d’America. Da grande, ho apprezzato la Def Jux e i Dictators. Il mio regista preferito è David Cronenberg. Ho affinità per i perdenti di classe.
[5]. Se avessi mai fatto uscire qualcosa, forse io potrei qualificarmi come “vecchia gloria bollita”, ma così non è mai stato, e quindi i Boorish Crew, storicamente il primo gruppo rap di Sassari (sfido chiunque a provare il contrario), dal 1991 restano una sorta di ectoplasma da “Greatest Story Never Told” e null’altro.
[6]. Non c’è da offendersi: in sostanza la tesi è che la scena di Sassari, anche se non andrà da nessuna parte, è una delle migliori d’Italia, per qualità/quantità.
[7]. Bella figura etimologica.
[8]. Come non ricordare quel capolavoro di comicità involontaria di Cani da Presa de La Fossa?
[9]. Per l’uso (sbarazzino) del termine “arte”, si veda quanto scritto da Stewart Home nell’introduzione di Assalto alla Cultura (AAA Edizioni, maggio 1996), specialmente nella nota 7.
[10]. Almeno per chi ama i perdenti di classe, cioè.
[11]. Sospetto conti di più a livello di immagine, nel giro degli hip-hoppers isolani, che non a quello di conto in banca.
[12]. I Ramones li considero un incidente (e l’eccezione che conferma la regola), soprattutto visto l’accoppiamento con band di supporto sassaresi quantomeno improbabili (senza fare nomi, per una volta).
[13]. Ovviamente, in maniera puramente egoistica, spero che continui così, almeno per quanto riguarda la produzione rap.
[14]. Si veda quel che il defunto Presidente Cossiga aveva da dire sulla “cionfra”, il fenomeno principe dell’essere sassaresi.
[15]. Frequentano altri giri, più redditizi, ovviamente.
[16]. Detta così sembra un insulto, ma non lo è. La base, incredibilmente “fangosa”, tanto da seppellire praticamente qualunque frequenza alta del campione, rende perfettamente, facendo da contraltare musicale al tentativo di esprimere la rabbia per la “Solita Merda”, veementemente odiata dagli autori del pezzo.
[17]. Eppure gli esempi “cool” ci sarebbero, senza scomodare per forza Marley Marl e la Juice Crew o Eric B & Rakim (mie ossessioni, chiaramente): i Mobb Deep all’apice della carriera, il Wu-Tang Clan dei primi tre dischi (di gruppo), e persino la Death Row d’annata (Tha Chronic su tutti). Oppure, in ambito conscious, i dischi di Common prodotti praticamente in toto da J Dilla.
[18]. Ne dubito, ma sarebbe essere molto interessante essere smentiti: immaginatevi se il prossimo Fabri Fibra o Guè Pequeno (parlo solo di popolarità) fosse nato a Sassari.
[19]. Word to Kaos One.
[20]. Troppo facile sparare addosso alla Croce Rossa, ma Surfa lo devo citare per forza.
[21]. Per onestà, devo anche dire che magari, se le cose fossero diverse, la scena sarebbe probabilmente meno interessante, di sicuro.
[22]. In ultima analisi, un breakdown delle singole canzoni di Esse Esse War Volume 1 non ha senso: più o meno tutti se la cavano bene. Per chi scrive, è più interessante il significato di Esse Esse War Volume 1 come rappresentazione della Sassari hip hop.
[23]. E se anche Termanology e DJ Deadeye se la menano con Kanye West e Lil, Wayne, forse hanno ragione i South’s Seed.

2 commenti:

Antonio ha detto...

Una precisazione: nella mia logorrea, ho dimenticato una cosa importantissima. Il merito di avere assemblato la compila Esse Esse War vol. 1 è tutto della crew MCP, che si è presa l'onere di aggregare la scena sassarese.
Era un dato che mancava e un torto che ho fatto alla crew. Spero che questo commento possa riparare e dare quella completezza d'informazione che non cercavo ma che in questo caso è d'obbligo.

Jack Sparra ha detto...

ho un papiro di risposta!
logorrea scritta!

http://www.facebook.com/note.php?created&&note_id=498651753483#!/notes/jack-sparra/guida-a-esse-esse-war-la-versione-di-sparra/498651753483