mercoledì 29 dicembre 2010

A Friendly Game of Hockey

Immaginate un sottofondo metal che sta per spegnersi all'improvviso.
L’hockey su ghiaccio è lo sport più hardcore cui io abbia mai assistito dal vivo. E considerando che ho visto calcio in differenti paesi, incluse Scozia, Inghilterra e Sardegna (la Torres promossa in C1 che entrava al suono dell’Aida era qualcosa di spettacolare, sottolineo), vuol dire molto.
Durante le tre ore di match in totale fra i Jokerit di Helsinki e gli Espoo Blues (60 minuti effettivi divisi in tre tempi da 20) all’arena Hartwall di Helsinki, gli omaccioni sul campo ghiacciato si sono pestati per approssimativamente 58 minuti effettivi, secondo più, secondo meno. Quei due minuti in più, che generosamente sto allocando al resto, invece, tengono conto dei secondi in cui il pack è passato di giocatore in giocatore, ovviamente prima di arrivare nelle vicinanze degli atleti (cosa che, come intuibile, fa ri-scattare tutta l’aggressività dell’hockey). Il livello di testosterone è alto, e si respira puzza di sudore e intimidazione in ogni frenata, spallata e colpo di bastone che i giocatori si scambiano senza sosta lottando sul pack (ma non sugli spalti, dove i tifosi sono vistosamente mosci, quantomeno rispetto alle bestiali controparti del calcio, che, anche a livelli risibili come quelli della Torres, dove le “arguzie” si contano a centinaia, rendono lo spettacolo degno).
Nell’hockey tutto ruota attorno al testosterone, a cominciare dall’entrata pirotecnica in campo (speaker urlante, scattini da NHL e fiammate in stile WWF inclusi). Il livello di ormoni maschili, è talmente alto, infatti, che sembra quasi paradossale che ogni tanto erompano momenti di rissa (che, in un contesto del genere, potrebbe quasi sembrare da copione). Pensandoci bene, invece, quando devi pattinare, e pestare un altro, e usare la tecnica per controllare il pack, e mantenere un livello di aggressione (fisica e mentale) del genere per tre ore/venti minuti effettivi (più overtime più penalty shootouts), l’idea di perdere la calma un paio di volte non sembra poi così peregrina. Mia moglie perde spesso la calma con me (spesso più di due-tre volte in tre ore), e sono inesistente in ognuna delle attività menzionate sopra.1
Come dicevo, l’hockey su ghiaccio è hardcore.2 Talmente hardcore che riesce a fare diventare sostanzialmente eroico l’accompagnamento musicale, che in altri contesti sarebbe patetico o quantomeno fuori tempo massimo di almeno 20-25 anni.
Ora, la cosa che dovete sapere è che, durante ogni momento di pausa (che non contempli pubblicità, che pure è tanta) è virtualmente impossibile sentire un qualunque tipo di silenzio, affogato sotto la pesante coltre di spot di mezza tacca e di rock’n’roll senza scuse. Infatti, se avessi chiuso gli occhi almeno una volta, sono sicuro che mi sarei sentito come al Dungeon di Southampton, un club che suonava solo musica per metallari e indie-head (con esiti a volte dubbi). Con una differenza, però: che nel metal-club le canzoni suonavano pressappoco nella loro interezza (e, i Nirvana, pure più volte), mentre qui riempiono il silenzio fino al secondo esatto in cui il pack viene rimesso in gioco. Immaginatevi di suonare 15 secondi di una canzone metal, e poi doverla stoppare con precisione assoluta quando l’arbitro molla un dischetto nero fra due omoni armati di mazza: qualcuno deve avere il lavoro più nevrotizzante del mondo.3
Ma divago: durante il match, sono state suonate almeno una quarantina-cinquantina di canzoni rock’n’roll in quasi ogni possibile declinazione, dall’hair metal allo street rock al punk al “cheese” puro. Fra gli highlights, Girls, Girls, Girls (che appropriatamente ha segnato anche l’entrata delle pon pon girls: non potevano mancare, chiaramente), You Shook Me All Night Long, Breaking the Law. Sul versante più punk, Blietzkrieg Bop, e persino Come Out and Play, che non sentivo forse dal ‘95.
E, a proposito di evergreen dimenticati, come non rimanere basiti, invece, di fronte a Cotton Eye Joe dei Rednexx, che avevo felicemente rimosso (e di cui non sentivo il bisogno)?
Tutte le canzoni (meno ovviamente le scelte bizzarre e oggettivamente indigeribili, come un qualcosa di Lil Wayne che NON voglio riconoscere, un paio di cazzatine techno e la summenzionata Cotton Eye Joe), che in altri contesti avrei considerato di dubbio gusto e/o da finocchi e/o il diavolo (in musica, per citare gli Slayer), o che avrei quantomeno visto con sospetto e un minimo di puzza sotto il naso, invece nell’arena dell’hockey funzionano. Certamente fanno una migliore figura, ahimè, di quella paccottiglia rap che accompagnava le entrate dei wrestlers e che qualcuno ebbe pure il coraggio di compilare in un CD e vendere, mi pare di ricordare.
Ma d’altronde, come credo di avere dimostrato, l’hockey è hardcore: in quale altro sport si allunga la pausa fra un tempo e l’altro da 15 a 18 minuti per aiutare a bere più birra?4
A volte, tutto questo metal regala pure qualche “brivido” imprevisto: durante i secondi prima dell’overtime e dei penalty shootouts (per altro eseguiti in maniera veramente pedestre dalla squadra di casa, che infatti ha - meritatamente - perso),5 mi sono reso conto di essere presumibilmente l’unico degli annunciati 8000 spettatori (più probabilmente sui 3000, invece) a sapere che Wild, apparentemente l’inno dei Jokerit, è stata campionata da J Dilla. Che ci volete fare, l’hardcore resta sempre hardcore.6

Note
1. Fieramente inesistente, per quanto riguarda il discorso del pestare, ovviamente (anche quando ci vorrebbe).
2. Nel secondo intervallo, quello fra il secondo ed il terzo periodo, viene messa in palio una motocicletta. Che utilità avrà mai in Finlandia, specialmente quando fuori siamo a 10 gradi sotto lo zero? Non potrò mai scoprirlo perché lo spettatore scelto, con sommo dispiacere delle cheerleaders sedute sulla moto, non riesce a centrare 15 volte la porta da centrocampo in 20 secondi, ma resta roba da uomini duri.
3. Ogni volta che si compie questo rito, che all’inizio avviene con mio enorme disorientamento, penso a Banfi in Vieni Avanti Cretino.
4.  E, coincidentalmente, sentire più metal.
5. L’andamento della partita è stato: vantaggio dei padroni di casa, pareggio degli Espoo Blues, vantaggio degli Espoo Blues, pareggio dei Jokerit a 6 secondi dalla fine, extra-time e rigori (due a zero per gli Espoo Blues). Dei marcatori non frega niente a nessuno, anche se l’unico di cui ho capito il nome è un tal Justin Forrest, presumibilmente non imparentato col mago.
6. Voglio pensare che non sia un caso che abbia vinto la squadra più proletaria e quindi, in qualche maniera, più “metal”.



3 commenti:

Giancarlo_Vagginelli ha detto...

in quale altro sport si allunga la pausa fra un tempo e l’altro da 15 a 18 minuti per aiutare a bere più birra?

Credo che in USA sia la prassi.
Oddio non mi sbilancio per gli altri sport ma ti assicuro che nel basket il time out da 20 secondi dura minimo 2 minuti, quello da un minuto 5-7 minuti, la pausa di meta gara mezz'ora abbondante... ecc ecc
Presumo non sia solo per birra e panini ma sopratutto per gli spot in tv.
Come può una nazione che concepisce lo sport come uno spettacolo di cabaret che faccia vendere hot dog sfornare i migliori atleti al mondo?
Semplice, prendono molto sul serio il cabaret.

Articolo divertente.

Giancarlo_Vagginelli ha detto...

Ah, secondo me Cotton Eye Joe e I Get Knocked Out dei Chumbawamba sono in loop perenne all'inferno.

Antonio ha detto...

Ah, secondo me Cotton Eye Joe e I Get Knocked Out dei Chumbawamba sono in loop perenne all'inferno.

Sicuro.

P.S.: gli USA non li considero, ovviamente. Lì il discorso business-sport ha contorni completamente diversi e le logiche sono altre, chiaramente.