martedì 24 maggio 2005

Due Parole Sul Plagiarismo

L’Arte Suprema (1) (intesa proprio come superamento dell’Arte stessa) del ventunesimo secolo è il plagiarismo.
“E’ bene ricordare che il plagiarismo è un esercizio fortemente creativo, poiché con ogni plagio è assegnato un nuovo significato alla parola plagiata”- ci ricorda Tom Vague. E infatti, sin da quando il grande Bardo, Shakespeare, ha ridefinito il senso dell’Arte (ponendola in crisi, sino alla sua negazione), proprio con l’introduzione di una precisa autocoscienza del “rimescolamento”, il senso dell’operazione metodologica del creare (poiesis), non è più stato lo stesso. “Le idee migliorano. Il senso delle parole vi partecipa. Il plagio è necessario. Il progresso lo implica. Esso stringe dappresso la frase di un autore, si serve delle sue espressioni, cancella un’idea falsa, la sostituisce con l’idea giusta.” (Guy Debord)
Nella musica moderna, una rivoluzione della stessa portata è stata raggiunta con la tecnologia, e l’invenzione di uno strumento tanto semplice quanto geniale: il campionatore. Esso ha reso possibili, nella musica, due idee fondamentali e radicalmente innovative: innanzitutto la possibilità, resa finalmente concreta, del “Do-It-Yourself”. Infatti, più ancora del punk, la musica “elettronica” (le virgolette vengono usate perché oggi tutta la musica è elettronica, visto che viene suonata attraverso amplificatori alimentati a corrente e registrata in digitale, ed il termine serve ad indicare la musica “sintetica”, ovvero l’ampio spettro musicale che va dal rock industriale alla dance, passando per il rap e l’hip-hop) permette a tutti l’espressione delle proprie idée. Oggi basta un computer, neanche costosissimo, per fare un disco da soli. In questo senso Dave Toop, insigne critico musicale, è convinto che nel futuro la figura del musicista sarà sempre più simile a quella del d.j. che non a quella del diplomato al Conservatorio: a tal proposito, l’educazione musicale tradizionale già da oggi sta diventando sempre più trascurabile, a vantaggio invece di una capacità “critica” di assemblaggio sempre più fondamentale, come dimostra l’esplosione della scena trip-hop e house, da Tricky ai Prodigy, dai Chemical Brothers agli Underworld.
In un concerto passato alla storia, il grande compositore John Cage si sedette di fronte al pianoforte e lo chiuse senza suonarne una nota: oggi i musicisti rap e hip-hop (non meno di quelli techno o industriali) superano quel gesto, facendo a pezzi quel pianoforte, e restituendo ogni singola nota scorporata all’ascoltatore, affinché possa farne quello che vuole (specie se ha un computer).
In quest’ottica, l’altra grande alternativa offerta dall’invenzione del campionatore è quella dell’applicazione intensiva del détournement: il frammento sonoro (sample), estratto (détournato) dal contesto originario, privato di ogni legame con l’ambiente musicale di partenza, viene ricontestualizzato all’interno di una base (situazione) diversa, assemblato in maniera assolutamente libera e creativa, in una parola democraticamente, per diventare “archetipo” della prossima composizione, ovvero esempio (passaggio da sample a example). È chiaro che in questo senso, jungle, trip-hop e soprattutto rap sono i generi principali in cui l’Arte plagiarista esercita la sua influenza, sempre più riconosciuta (provate a chiedere a tutti quegli artisti mainstream, da Christina Aguilera agli U2, da Björk a Britney Spears che sentono sempre più pressante la necessità di lavorare coi maghi della consolle, da Rockwilder a Howie B, da Flood ai Neptunes).
“Il détournement è il contrario della citazione, dell’autorità teorica sempre falsificata per il solo fatto di essere divenuta citazione: frammento strappato al suo contesto, al suo movimento, e infine alla sua epoca come riferimento globale e all’opzione precisa che era all’interno di quel riferimento, esattamente riconosciuta o erronea” (sempre Guy Debord).
Come non vedere in questo frammento la descrizione di quanto viene mirabilmente compiuto normalmente dai più grandi Artisti rap ogni volta che compongono (e mai termine fu più adatto) le loro acrobazie musicali?


(1) Una precisazione fondamentale: il termine “arte” viene usato con due significati. Uno è quello classico (indicato dalla lettera maiuscola), sul quale tanto si dibatte, mentre l’altro è quello più radicale dovuto alla scuola situazionista, che definisce l’arte come l’espressione di una sorta di “beatificazione” dell’estetica borghese, con l’unico scopo di giustificare e conservare lo status quo. A questo proposito, cfr. Assalto alla Cultura, di Stewart Home, ed. AAA, 1996. L’uso dello stesso vocabolo per due significati tanto differenti è dovuto sostanzialmente alla mia incapacità di trovare un vocabolo universalmente comprensibile per definire una categoria estetica universale che venga dal basso, differente, ma non necessariamente antitetica alla cosiddetta “Cultura Seria”.


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