giovedì 7 aprile 2011

Vecchie Ruggini

Parlare di Rusty Dogs per me non è facile.
Per tutta una serie di motivi: primo, Emiliano è un amico. Anzi, un grande amico. Poi, Rusty Dogs l’ho visto nascere (e ne vedo i dietro le quinte abbastanza regolarmente). Poi ancora, il noir, in molti casi, mi annoia.
Insomma, il pericolo esiste: o non essere preso sul serio per complimenti considerati di prammatica nel caso di critiche positive, o essere criticato per posizioni considerate pregiudiziali nel caso di critiche negative.
In ogni caso, alla tastiera non si comanda e siccome mi va di scrivere di Rusty Dogs, mi assumerò tutti i rischi del caso. Soprattutto perché qualcosa di sensato da dire credo di avercelo.
Parentesi: non credo di avere la verità in tasca, e parlo delle mie impressioni. A volte fondate, a volte basate su esile (o inesistente) evidenza. Quindi non cercate rivelazioni da insider perché non ce ne sono, per la maggior parte.
Rusty Dogs ha tutti i difetti, ma soprattutto i pregi del “vanity project”. Emiliano scrive per sollazzarsi (almeno questo mi sembra), ma così facendo riesce a sintonizzarsi perfettamente sui gusti dei propri lettori, e quindi il risultato è molto spesso azzeccato. In ogni caso, non vorrei essere frainteso: quando parlo di “vanity project”, non intendo la sterile masturbazione mentale che flagella moltissimi dei blog tenuti da fumettisti che mi capita di leggere. Mi riferisco semmai all’idea di dover dimostrare qualcosa a se stesso nella forma del padroneggiare perfettamente la materia noir, ritmi, atmosfere, personaggi e quant’altro.
Si può non essere d’accordo con l’idea di smontare e rimontare il genere per giocare con i meccanismi (ed infatti io non lo sono, in parte), ma certamente il modus operandi è meno fastidioso di quell’approccio post-moderno che fa della scopiazzatura-citazionismo il proprio fulcro. Rusty Dogs non cita, richiama.
In questo senso (ed è forse la parte che meno mi attira del progetto), la missione è compiuta: la serie è un perfetto compendio di letteratura noir che riassume tutti i topoi della materia, e lo fa bene. Questo, al di là dei miei gusti personali (come ho detto), è certamente un pregio.
Ma se fosse finita qui, me ne potrei tranquillamente andare a letto, invece di tediarvi con le mie elucubrazioni.
Che non verteranno certamente sul discorso del mosaico che si sta formando, del meccanismo di costruzione di un “microclima” (qualunque cosa questo significhi), della presunta immobilità che invece sta cedendo il passo a un cambio (immagino) epocale. Di quello può tranquillamente scrivere chiunque, soprattutto i tanti che il noir lo amano più di me.
E non verteranno nemmeno (per questa volta) sull’ottimo lavoro di Mauro Mura come grafico/letterista (Rusty Dogs, un blog gratuito, ha il proprio font personalizzato, a differenza di tanti fumetti cartacei che si limitano a usare il primo font freeware della Blambot!).
Da parte mia, invece, mi importa di quella che ritengo la parte più interessante di Rusty Dogs, costituita, in perfetto stile (questo sì noir) dai presunti (presunti da me, in larga parte) fallimenti della serie.
Andiamo a vederli uno ad uno nel dettaglio, se avete voglia.
Il primo fallimento, sebbene non evidenziato, in genere, da chi ha parlato della serie, è evidente, almeno ai miei occhi: la serie è penalizzata da problemi di periodicità, legati per la maggior parte (per come la vedo io - che ho sempre ragione) ai tempi realizzativi dei disegnatori (so già che Emo avrà da eccepire, e so già che non è proprio così semplice, ma permettetemi un ragionamento in bianco e nero milleriano, perché è funzionale alla mia analisi).
Questo, che è certamente un difetto, ha come altra faccia della medaglia il fatto che Emiliano Longobardi, con (giusta, direi) testardaggine, ha deciso di puntare su una serie di disegnatori scelti ad uno ad uno, col risultato che la parte grafica risulta molto forte ed omogenea nella propria eterogeneità: il massimo cui si possa aspirare, direi. L’ovvia soluzione sarebbe stata di contattare chiunque in giro: immagino che la mantenuta (?) periodicità avrebbe avuto come contraltare una parte grafica in stile patchwork.
La seconda critica l’ho sentita esplicitamente, invece, e si riferisce alla scarsa fruibilità/cattiva impostazione commerciale di Rusty Dogs a livello “digitale”. Verissimo, il blog non è lo strumento più agile per un progetto del genere, in generale. Ma questo vuole anche dire, in particolare, che il fulcro di tutto resta il progetto, non l’e-book, o il lancio come possibile serie. A quello ci si penserà (suppongo) a storia conclusa. Personalmente apprezzo di più un discorso del genere: come lettore mi interessa solo la forza del progetto.
Per ultimo, lascio l’aspetto per me forse più interessante, su cui mi sono spesso infervorato. Ovvero (esulando dalla specificità del progetto per passare a un discorso di filosofia della serie) quello del fatto che, secondo me, Rusty Dogs rimane soprattutto un’opportunità sprecata come modello “produttivo”.
Ovviamente in questo caso le colpe non sono degli autori (o dell’autore, meglio), ma di chi, in una situazione simile a quella di Longobardi (esordienti di talento, semiprofessionisti alla ricerca della svolta, artistoidi vogliosi di pubblicare il proprio capolavoro), non ha capito che Rusty Dogs ci dimostra soprattutto una verità incontrovertibile. Ovvero che l’idea di proporsi ai nostri editori per avere (massimo) 1000 euro di compenso è ormai obsoleta e soprattutto by-passabile, specie nell’ottica del bacino di utenza dei suddetti editori (cioè, se va bene, un migliaio circa di lettori).
Questo vale in egual misura sia per chi ha un’urgenza narrativa imprescindibile, sia per chi ha semplicemente l’interesse di farsi notare per poi passare in Bonelli/Disney/Marvel/DC (esigenza per altro legittima, non fraintendetemi).
Se uno ha un’idea forte, per farsi leggere da un numero maggiore di persone rispetto ai potenziali acquirenti “su carta” (o generare un po’ di interesse nei confronti della propria opera per averne dei vantaggi a lungo termine) è sufficiente mettere su una struttura che non necessita di grossi costi (su web). Un passo successivo (in molti casi desiderabile, ma non strettamente necessario) è quello di coinvolgere qualche grosso nome (anche in maniera marginale, ma spendibile). Trattandosi di lavoro gratis, immagino che sia garanzia di un’adesione ideologica, in qualche maniera. In ogni caso, una pin up di un nome grosso non rappresenta un fattore molto diverso da una specie di “copertina”. È sempre la forza del progetto (o la capacità grafica, o qualunque altro punto di forza su cui l’autore voglia puntare) a sostenere il tutto.
Questo dovrebbe garantire l’eliminazione del “bisogno” di ingraziarsi l’editore e sottostare ai servilismi e brutture di cui si sente a ogni piè sospinto quando si parla della piccola editoria fumettistica in Italia.
Mi si dirà che col blog non si guadagna nulla: vero (anche se esistono modi per farlo, se uno si sbatte), ma non mi si vorrà dare a intendere che invece 800 euro per 100 pagine da realizzare in pochi mesi sono un’alternativa…
Se gli autori esordienti/semiprofessionisti fossero più svegli, i piccoli e medi editori fumettistici italiani dovrebbero iniziare ad aver paura. E invece, per loro fortuna, possono ancora dormire sonni tranquilli. E fare il bello e il cattivo tempo. Per questo, e per l’occasione mancata da potenziali epigoni, viva Rusty Dogs.

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