giovedì 3 settembre 2009

Dell’Ortodossia (e Di Qualche Colpa di KRS-One)

Tutto è iniziato con la favoletta delle quattro discipline, che però rimaneva pur sempre una innocua semplificazione. Finché invece non ci ha pensato KRS-One, con la sua celebre “Rap is something you do, hip hop is something you live”, a caratterizzare l’hip hop come un fenomeno oltranzista dalle potenziali e pericolose derive totalitarie (come si è visto e si continua a vedere ancora oggi, da Youtube in giù).
La frase di Kris Parker, grandissimo rapper ma sicuramente non modello di tolleranza o di apertura intellettuale (nonostante una testa non da poco, direi), sottintende infatti una non bene identificata e ambigua ortodossia (il completamento ideale infatti è “and I will judge if you are hip hop or not”, che è il pane di tantissimi fedayin dell’hip hop, dagli USA all’Italia, nonché, essenzialmente il modo con cui KRS-One si rapporta alla propria vita artistica, quantomeno negli ultimi anni). Tutto ciò, per chiarire ancor meglio il discorso, serve semplicemente come scusa per reclamare il “diritto divino” di dare patenti e bollini di approvazione o meno in base a gusti che, invece, checchè se ne possa pensare, sono e restano estetici (mentre KRS-One ed epigoni danno al tutto, en passant, una connotazione quasi “etica”).
L’altra mistificazione, anch’essa colpevolmente portata avanti da KRS-One e da tanti suoi “seguaci”, è stata quella di definire l’hip hop come una “cultura”. Sebbene, per certi aspetti, a livello di semplificazione ed a scopo esemplificativo il concetto di hip hop come cultura sia in qualche maniera persino accettabile (come espressione ellittica in ambiti in cui il concetto di hip hop sia chiaro nella maggior parte delle proprie sfumature, per esempio), si tratta comunque di un falso e di una definizione potenzialmente fuorviante. Qualche volta, per ragioni di brevità, ne sono stato colpevole pure io, ma ciò non cambia le cose, ovviamente.
L’hip hop, in mancanza di una definizione migliore, è il modulo espressivo principale (e dinamico) di un insieme di culture diverse (sebbene alcune di queste diano a tale modulo un contributo ovviamente maggioritario rispetto ad altre). Come già venuto fuori in diversi post di questo blog, per esempio, è ovvio che quando Prince Paul campionava i Doors per un pezzo dei 3rd Bass, non lo faceva al di fuori dei canoni estetici del modulo espressivo hip hop, nella stessa maniera in cui i Beasties, incanalando l’estetica hardcore/punk, o Dilla, rimodellando certe influenze techno di Detroit, o i veterani dell’hip hop di Chicago, tramite la rielaborazione della house “old school”, non possono venire accusati di bestemmiare rispetto a un “Verbo” che non esiste. Il modulo espressivo hip hop, proprio per definizione (e per la propria storia), si basa sull’ibridazione e sul meticciato, sia a livello culturale che, soprattutto, a livello concettuale (esempio per tutti: la batteria di Big Beat sta sullo stesso piano di Funky Drummer, nella rielaborazione effettuata tramite i block party che poi hanno dato vita a certe manifestazioni culminate nella registrazione e quindi nella nascita del genere musicale hip hop).
Tale “ibridologia”, ovviamente, non può fare perdere di vista il contributo fondamentale di parte della cultura nera (quella che per brevità chiameremo “afroamericana”). Contributo che, oltre a non poter essere ignorato, informa in massima parte le espressioni più peculiari del modulo espressivo hip hop, chiaramente. Anche se è ovvio che questo, da solo, non possa esaurire tutte le spinte creative presenti all’interno di quello che è un genere musicale incredibilmente vario e differenziato, se è vero che sotto lo stesso ombrello, al di là di tutto, si possono fare co-esistere, per dire, Sage Francis e Lil’ Wayne, Nelly e La Coka Nostra, Joell Ortiz e Black Milk, Aesop Rock e Ghostface Killah, KRS-One e Gucci Maine (e così via).
In questo senso, nonostante questa cosa farà inorridire i soliti fedayin, a priori non c’è differenza fra lo Spitty Cash di turno e il più acclamato paladino dei puristi dell’hip hop (Dilla? Premier? gli M.O.P.? Rakim? Kaos in Italia? Metteteci il nome che più vi piace). Nessuno può reclamare in toto come proprio un modello espressivo. Neanche gli dei del genere (o i talebani delle 4 discipline).
E allora? La differenza la fanno due aspetti estetici (e solo estetici, anche se - mi scuso - si dovranno scomodare le categorie kantiane): la capacità creativa-tecnica (ovvero la padronanza degli aspetti tecnici e della forma canzone hip hop) e quella di incarnare quel fattore che, per comodità (e precisione, al di là di tutto) chiamiamo zeitgeist, ovvero quello “spirito del tempo” che ha reso e rende una canzone come The Message o New York State of Mind capolavori immortali, per esempio.
In questo senso, se in questo momento lo zeitgeist è meglio rappresentato dalla riappropriazione della cultura black tramite concetti come “la lotta”, “la street cred”, la cifra espressiva dell’esagerazione, l’autoaffermazione tramite lo sfoggio di quella che Reiser chiama la “figaccioneria”, il “Ghetto blues” (e per la maggior parte è così, c’è poco da fare), è chiaro che prodotti artistici (dove l’aggettivo è usato nel senso più ampio per definire tutto ciò che appartiene alla creatività del genere umano, non è questo il momento di un dibattito “arte vs. artigianato”) di questo tipo partiranno avvantaggiati rispetto ad altri con caratteristiche diverse, a parità di valore creativo-tecnico.
Ma senza dimenticare che anche lo zeitgeist è un concetto dinamico: per capirci, nel 1988, It Takes a Nation of Millions... definì uno standard probabilmente insuperato e insuperabile, senza che Chuck, Flavor e soci (che all’epoca rappresentavano meglio di chiunque lo spirito del tempo) dedicassero una sola riga alla credibilità da strada, alla coca ed ai gioielli.
Tutto ciò che resta, quindi, è un parametro (critico) di analisi basato su categorie estetiche (ovviamente doverosamente rielaborate tramite la capacità di mettere in relazione il “nuovo” con la propria storia, come per altro necessario per ogni altro contesto di analisi critica di qualunque manufatto artistico).
E questo non è relativismo, anzi. Nell’hip hop più che in altri generi la capacità di mantenere il cortocircuito passato-presente conta ed è alla base dell’esperienza critica. In questo senso, il ragazzino che pensa che Clementino sia uno dei giganti del genere, manca, prima che di prospettiva storica, di strumenti in grado di permettergli di padroneggiare il codice critico (anche se ha diritto ad avere una opinione - sbagliata - chiaramente).
Ma se alcune opinioni sono migliori di altre, come è normale ed ovvio in ogni contesto in cui esistano gradi differenti di coscienza estetica e critica, ciò non toglie che ci sia bisogno di mettere in prospettiva le cose, uscendo da quella fastidiosa ortodossia che spesso viene fuori quando si parla di hip hop e che puzza di vecchio (ma questo è il meno), di chiusura mentale e, oserei dire, di totalitarismo.

15 commenti:

Anonimo ha detto...

un discorso lungo e scosclusionato semplicemente per dire le solite cose...ma non capisco perchè tutti fanno tanto gli aperti e puntano il dito contro il b-boy "totalitarista",per usare un tuo termine,quando poi sono i primi a storcere il naso appena viene fuori qualcosa di nuovo...e inoltre questa analisi che fai dell'hip hop non mi pare fatta da uno con una posizione adatta,vaglielo a dire a phase ad esempio che le 4 discipline sono "favolette"...inoltre l'hip hop è una cultura,cultura in quanto complesso di tradizioni,cognizioni,procedimenti tecnici,comportamenti caratteristici di un determinato gruppo sociale e il fatto che sia nato da un assembramento di culture diverse non significa che non si possa parlare di cultura così come ogni corrente artistica è sempre stata figlia di commistioni di altre correnti ma non per questo priva di una propria unicità...

BAUAU

Antonio ha detto...

Ti ho cancellato i due interventi "in più", che dicevano le stesse cose, ok?

Mi spiace che il mio intervento ti paia sconclusionato. Ho provato ad essere estremamente ordinato ed analitico, al di là del fatto che poi il lettore sia d'accordo con me o no. Evidentemente non ci sono riuscito.
Ho detto le solite cose in generale o "le solite cose" mie?
Questo pezzo mi interessa.

Per quanto riguarda il fatto che si storca il naso contro le cose nuove, io rispondo solo di me stesso, non di tutti, quindi non so che dirti. Io personalmente cerco di aprirmi sempre (no homo) e ascolto anche cose che so a priori che non mi piaceranno. A volte mi sono smentito da solo, molto spesso, purtroppo, no.

Perche' non e' adatta la mia posizione? Perche' non sono negro di New York? Forse hai ragione, ma non mi pare che, a proposito di cultura, solo i tedeschi del secolo scorso possano reclamare Nietszche come parte della loro cultura. O che Raffaello sia solo degli Italiani (e di un certo tipo).
Il problema infatti è che se parti da un presupposto giusto, dicendo inoltre l'hip hop è una cultura,cultura in quanto complesso di tradizioni, cognizioni, procedimenti tecnici, comportamenti caratteristici di un determinato gruppo sociale, dimentichi che poi tutto ciò è stato reso universale, e quindi non più reclamabile come proprio solo dal gruppo che lo ha inventato.
Altrimenti, estremizzando, solo i neri old school del Bronx avrebbero diritto di parlare di hip hop.
Se ti posso fare un appunto, poi, occhio a non confondere cultura e correnti artistiche, che sono cose diverse e non accomunabili.
In ogni caso, se accettiamo l'hip hop come una corrente artistica (cosa che io non farei, ovviamente), è dall'alba dei tempi (o meglio, dalla nascita della borghesia, ma questo è un altro discorso, e lungo) che alle correnti artistiche nate in un luogo afferiscono, con pieno diritto di "cittadinanza", gli stranieri (vedi Pinot-Gallizio con i situazionisti, per dire la prima banalità che mi viene in mente).
Grazie comunque dell'intervento.

Anonimo ha detto...

Prego,
scusami ma non mi sono spiegato bene in alcuni punti..non volevo dire che l'hip hop appartenga solo ai neri o cose simili,volevo dire che proprio data la sua universalità si può parlare di hip hop come di cultura perchè è riuscita a trasferire tramite i suoi moduli e le sue tradizioni un modo di intendere la musica l'arte o il ballo tramite dei canoni che sono solo "hip hop" e che a chi è estraneo di questa cultura sono difficili da spiegare...cmq la critica di falsa apertura è diretta a te quanto a me stesso..."ascolto anche cose che so A PRIORI che non mi piaceranno" è questo che intendo con falsa apertura l'ascoltare qualcosa con un pregiudizio che cmq vizierà tutto l'ascolto...

BAUAU

reiser ha detto...

Non darò una risposta più che tanto lunga solo perchè dal mio punto di vista parti da un presupposto sbagliato, che è quello di comportarti nei confronti dell'ortodossia presente nel rap come se questa fosse paragonabile in qualche modo ai tanti accademismi sorti nelle produzioni artistiche del passato. Questa secondo me è una svista che, se accettata, porta a fare un discorso come il tuo e che magari nella sua logica funziona pure.

Tuttavia non tieni abbastanza conto di un fatto: pochi generi come il rap (attenzione: parlo del rap) hanno subìto una quantità di attenzioni da parte del mercato discografico, e dunque una così rapida diffusione.
Quindi cosa è successo? E' successo che, trattando una forma di espressione artistica legata ad una cultura come se fosse un prodotto facilmente assimilabile, molti dei suoi aspetti sono stati sacrificati sull'altare della commerciabilità e della viabilità (e questo, lo ripeto, con tempistiche brevissime). La conseguenza di ciò è che molti fenomeni da baraccone, quelli contro i quali io dirigo la mia ortodossia almeno, non sono altre forme artistiche paragonabili alle precedenti, bensì i riultati di un'equazione stabilità in posti dove tutto si fa fuorché cultura.
Ne consegue che non hanno sufficiente dignità per poter essere messi sullo stesso livello dei punti di riferimento del genere, perchè sarebbe come pretendere che un prodotto creato (da terzi o meno) per vendere e basta abbia le medesime potenzialità di un'opera creata anche per passione. E' la differenza -anzi, ancora peggio- che passa tra un completo dell'Oviesse ed uno fatto a mano.

Poi ci sono diverse gradazioni di fanatismo, e KRS (e svariati suoi colleghi) in passato ha incarnato alcune delle peggiori non riconoscendo il talento di gente invece degnissima.

Ma quando ha scaraventato giù dal palco PM Dawn, concretizzando la sua intolleranza, ci aveva visto giusto: non valeva un cazzo e basta, non è che fosse diverso. Sfortunatamente per Dawn, all'epoca lui faceva parte di una minoranza. Così come nel jazz Kenny G viene giustamente considerato un incapace e nessuno dice "ba". Il problema è che di Kenny G il rap è pieno e questo, unito alla paranoia del hating, blocca molti dal dare a Cesare quel che è di Cesare.

Non parafraserò mai abbastanza Huey dei Boondocks: quello che viene chiamato "hating" è il motivo principale per cui la musica fatta dai neri è sempre stata all'avanguardia delle altre.

Giancarlo_Vagginelli ha detto...

Non ho capito bene il senso del post, visto che rivendicare come migliori qualitativamente gli artisti che sono piu' vicino ai rigidi canoni estetici ortodossi (o almeno a quelli che secondo te sono tali) e' quello che fai regolarmente, e l'hai scritto pure esplicitamente piu' di una volta.

Secondo me un grande fraintendimento nasce sempre dal voler dare uno spessore culturale a qualcosa che non lo ha, ma sopratutto non vuole averlo.

Personalmente ho sempre trovato il fascino dell'hip hop quello del "diamond in the dirt".
Come persone ignoranti e pure meschine possano partorire canzoni meravigliose.
Una spece di talento innato per la musica che esplode, che le condizioni economiche e sociali non riescono a fermare, l'hip hop come nuovo blues
E' questo che mi ha sempre affascinato, per questo trovo i rapper "intelligenti" quasi sempre meno interessanti. Anche perche' se voglio realmente leggere qualcosa di intelligente o farmi dare lezioni di vita, trovo nella mia libreria centinaia di autori molto piu' qualificati dei Nas, Krs o Rakim di turno, con tutto il rispetto.
Ed e' sempre per questo che i rapper italiani mi annoiano a priori, non vedo il diamond in the dirt, o meglio, in italia non vedo nessun dirt. Forse la seconda generazione di immigrati, visto come li trattiamo, ci regalera' un mc che ha qualcosa da dire.

Anonimo ha detto...

http://grandgood.com/2008/10/27/nyoil-talks-about-the-time-krs-one-threw-pm-dawn-off-the-stage-video/

Antonio ha detto...

@ Bauau:
la prima parte del discorso che fai assomiglia un po' alla mia, nel senso che io dico che il modulo espressivo "hip hop" non può essere rivendicato da nessuno in particolare.
Per il discorso di chiusura mentale, ti ho precisato che a volte cambio idea nonostante il pregiudizio. ALtre volte, ahime', il pregiudizio è giusto.

@ Magic:

vediamo se riesco a esprimermi bene. Io apprezzo (e quindi PER ME sono i migliori, per semplificare) quegli artisti che si avvicinano al MIO modo di sentire. E cerco sempre di giustificare il perche'. Altra cosa e' dare patentini come fanno i fedayin.
Per farti capire il senso del post provo con un esempio: tu giochi a basket, credo.
Ecco, anche se e' ovvio che sono gli USA ad aver partorito Jordan e Johnson, anche chi gioca, a vario titolo e con diversi mezzi, in Italia, per me è un giocatore. Oltretutto, troverei abominevole se un americano ti dicesse che tu non capisci un cazzo di basket perche' sei un bianco del nord Italia.
Sostituisci rap con basket ed hai piu' o meno il senso del mio post (Jordan e Johnson ci sono anche nel rap).

Per quanto riguarda il discorso dello spessore culturale, se capisco e sono in qualche maniera d'accordo col discorso del "diamond in the dirt", occhio che il discorso dello spessore culturale e' pericoloso.
Mi spiego: ma Gaugin, quando dipingeva a Tahiti, voleva esplicitamente avere uno spessore culturale, o era uno straccione?
Van Gogh, quando dipingeva i suoi meravigliosi quadri, si poneva il problema dello spessore culturale o era un povero pazzo?
Lo spessore culturale, alle cose, glielo diamo noi. Archiloco pensava alle troie e al vino, e poi lo abbiamo eletto (giustamente) a grande poeta...
Altra cosa e' il discorso (giustissimo) che ci possano essere persone migliori dei rappers a dire le stesse cose (o a dare lezioni di vita). Ma questo vale sempre.

@ Reiser:

il tuo discorso fila, pero' rischi di cadere in una contraddizione da cui e' difficile uscire. Ovvero, il discorso commerciale e le forme artistiche sono SEMPRE andate a braccetto. Anche Michelangelo e Mozart erano pagati per restare, stante la loro enorme bravura, in determinati steccati. Questo vuol dire che (anche se hai ragione a parlare di fenomeni da baraccone, ci mancherebbe), a priori non possiamo metterci a dare patentini cosi'.
Questo vuol dire che se sei un prodotto dell'industria discografica e il tuo album fa schifo ti giudico un pupazzo, ma sempre DOPO che ho valutato il risultato "artistico". Senza fare il paladino dell'underground e roba del genere. E i metri di giudizio, in maniera accennata, li ho dati.
Quando dici: Ne consegue che non hanno sufficiente dignità per poter essere messi sullo stesso livello dei punti di riferimento del genere, perchè sarebbe come pretendere che un prodotto creato (da terzi o meno) per vendere e basta abbia le medesime potenzialità di un'opera creata anche per passione., capisco cio' che intendi, ma e' sempre un giudizio che deve essere dato a posteriori, non a priori. Come invece fanno i fedayin.

Giancarlo_Vagginelli ha detto...

No, l'esempio del basket non calza. E' uno sport, non un arte, non necessita di un background sociale per essere credibile e coerente. Odio proprio infatti quando si parla di musica come se fosse uno sport, usando improbabili criteri per valutare quantitativamente gli artisti.

Antonio ha detto...

Magic, sì che calza l'esempio del basket. Perche' se e' vero che e' "solo" uno sport, e' vero che e' anche lo sport nero per eccellenza, e pure molto più di questo. Giocare a basket nei campetti, nel ghetto, non e' solamente un'attività fisica. E' parte della loro "cultura". La quale, esattamente come il rap, poi e' stata assorbita a livello globale, andando a modificare le abitudini anche di chi abita a Canicattì, non solo nei playground di Harlem.

A proposito del discorso sport-arte, mi puoi spiegare una cosa, che non ho capito?
Dal tuo ragionamento, mi sembrava di capire che il rap ti piaceva proprio perche'pur non avendo uno spessore culturale (e quindi ambizioni artistiche) riesce a trascendere l'ignoranza e a diventare il nuovo blues. Poi parli di arte. A me questa pare una contraddizione. Mi fai capire meglio?

Odio proprio infatti quando si parla di musica come se fosse uno sport, usando improbabili criteri per valutare quantitativamente gli artisti.
In realtà non si possono valutare quantitativamente neanche gli atleti, nello sport.
O meglio, i parametri quantitativi, nè nello sport nè nella musica (o in qualunque altro campo espressivo) danno necessariamente conto della grandezza di qualcuno.

Giancarlo_Vagginelli ha detto...

No, mi spiace, continuo a trovare l'esempio del basket non calzante.

"non avendo uno spessore culturale (e quindi ambizioni artistiche)"
la parte tra parentesi l'hai messa tu.
Dipende come definisci cultura.
Ovvio che secondo me l'hip hop ha rilevanza artistica.

"O meglio, i parametri quantitativi, nè nello sport nè nella musica (o in qualunque altro campo espressivo) danno necessariamente conto della grandezza di qualcuno."
Ma non e' vero affatto.
Se un giocatore vince 10 Mvp dell'anno e' una leggenda, se una squadra vince 10 titoli di fila e' una leggenda. Nessuno puo' negarlo.
Se vendi 10 milioni di dischi, puo sempre esserci qualcuno che sostiene che tu sia un incapace.

Antonio ha detto...

Senza polemica e solo per capire, quindi elabora quanto ti pare, che più scrivi più mi chiarisco le idee, probabilmente.

Ovvio che secondo me l'hip hop ha rilevanza artistica.
e prima hai detto:
Secondo me un grande fraintendimento nasce sempre dal voler dare uno spessore culturale a qualcosa che non lo ha, ma sopratutto non vuole averlo.

Ora sono io che continuo a non capire: se non ha spessore culturale qualcosa che attiene alla rilevanza artistica, allora che cosa ce l'ha?

Per il discorso dei parametri quantitativi: ma quindi una squadra che vince piu' titoli di un'altra e' sempre piu' grande?
Mi spiego: Cruijff ha vinto di meno di Van Basten. Quindi si puo' dire oggettivamente che era meno bravo?
Carl Lewis ha vinto più medaglie di Owens alle Olimpiadi. Quindi si puo' dire oggettivamente che era più bravo? A me queste valutazioni "quantitative" non mi tornano.
Meglio Maradona o Pelè? Secondo i criteri "quantitativi" non c'è storia: Pelè ha vinto tre mondiali...

Semmai il problema dei parametri quantitativi lo ha spiegato Reiser prima: laddove dominano i fattori economici, domina il parametro della vendibilità, che non ha sempre a che fare con la "sincerità" artistica, che è la base di ogni valutazione critica.

Giancarlo_Vagginelli ha detto...

Ma scusa cosa stai cercando di argomentare? che sport e arte sono la stessa cosa?
Un'arte e' tale quando esprime la visione del mondo dell'autore, come la esprimi la visione del mondo giocando a basket?

Vorresti forse negare che dopo una partita c'e' un vincitore ed un perdente, mentre tra 2 canzoni e' impossibile stabilire univocamente quale sia migliore?

non so, mi sembra un paragone surreale giuro.

Per il discorso dello spessore culturale, parlavo dei testi. Esistono mille canzoni con testi senza grande spessore ma rilevanti artisticamente, proprio per il motivo che dicevo prima, gemme create da ignoranti.

In ogni caso non fraintendere, io condivido pienamente questo post, solo mi sembra un po in contraddizione con quanto sostieni tu di solito.
Se ho capito bene l'ortodossia estetica ci sta, quando diventa ortodissia etica secondo te e' nazi.
Ma secondo me e' la prima che porta inevitabilmente alla seconda.

Giancarlo_Vagginelli ha detto...

Aggiungo: tutti i discorsi "pele o maradona" "jordan o kobe" appassionano solo chi di sport non capisce un cazzo, secondo me.

Antonio ha detto...

Ma scusa cosa stai cercando di argomentare? che sport e arte sono la stessa cosa?
E dove lo avrei scritto o fatto capire? Solo per l'esempio della pallacanestro? Sarei curioso di sapere se, a parte te, ci sono altri che lo trovano assurdo.

Vorresti forse negare che dopo una partita c'e' un vincitore ed un perdente, mentre tra 2 canzoni e' impossibile stabilire univocamente quale sia migliore?
No, avevo fatto degli esempi per spiegare che secondo me si puo' assolutizzare solo sulla scienza (e neppure sempre). Ma mi pare che (come sempre?) tu ti sia puntato...

Se ho capito bene l'ortodossia estetica ci sta, quando diventa ortodissia etica secondo te e' nazi.
No, scusa se te lo dico, ma non hai capito. L'ortodossia estetica (se parli di me) non esiste. Esistono dei parametri critici basati su una certa visione estetica che e' solo mia (e che ovviamente sul mio blog difendo). Non mi sentirai mai dire che non capisci un cazzo di hip hop perche' non condividi i miei parametri. Semmai cerchero' (ipoteticamente) di farti capire perche' i tuoi sono fallati, nel caso.
Vediamo se riesco a farmi capire: quando postai quel video hip hop che tanto ti scandalizzo', ti dissi (stringendo): "A me piace". Se fossi stato KRS-One ti avrei detto: "Ma che cazzo ne vuoi capire? Io sono l'hip hop e decido che cosa e' degno di essere hip hop e cosa no.

Poi: e' ovvio che ci sono opinioni critiche meglio formate per una questione di maggior acume critico, esperienza, cultura in senso lato etc.
Quando leggo una recensione di Reiser, spesso mi trovo d'accordo perche' il nostro background culturale ha punti di contatto, per dire. E mediamente mi fido di una recensione sua piu' di quella di un ragazzino di 16 anni perche' (inconsciamente) do' peso alla sua esperienza e alla capacita' di inquadrare l'hip hop in un certo modo. Ma questo non rende le opinioni di Reiser migliori di quelle di un altro a priori.

tutti i discorsi "pele o maradona" "jordan o kobe" appassionano solo chi di sport non capisce un cazzo, secondo me.
Boom! Questa me la segno...
Ma quante copie avra' venduto la Gazzetta col dualismo Baggio/Zola o Pele' Maradona?
E quanti incontri di pugilato sono stati pompati come sfide definitive?
E periodicamente non viene fuori sui giornali la sfida Buffon-Julio Cesar?
Dai, affermare una cosa del genere e' veramente esagerare.
Detto questo, a me di Kobe-Jordan non me ne frega un cazzo (e non l'avevo neanche mai sentita, pensa tu), ma una chiacchiera da bar su Diego vs. Pelè non me la perderei...

Giancarlo_Vagginelli ha detto...

"L'ortodossia estetica (se parli di me) non esiste. Esistono dei parametri critici basati su una certa visione estetica che e' solo mia (e che ovviamente sul mio blog difendo). Non mi sentirai mai dire che non capisci un cazzo di hip hop perche' non condividi i miei parametri. Semmai cerchero' (ipoteticamente) di farti capire perche' i tuoi sono fallati, nel caso.
Vediamo se riesco a farmi capire: quando postai quel video hip hop che tanto ti scandalizzo', ti dissi (stringendo): "A me piace". Se fossi stato KRS-One ti avrei detto: "Ma che cazzo ne vuoi capire? Io sono l'hip hop e decido che cosa e' degno di essere hip hop e cosa no."

ora ho capito.

"tutti i discorsi "pele o maradona" "jordan o kobe" appassionano solo chi di sport non capisce un cazzo, secondo me.
Boom! Questa me la segno..."

confermo e controfirmo.


"Ma scusa cosa stai cercando di argomentare? che sport e arte sono la stessa cosa?
E dove lo avrei scritto o fatto capire? Solo per l'esempio della pallacanestro? Sarei curioso di sapere se, a parte te, ci sono altri che lo trovano assurdo."

Non lo hai scritto, ma hai tracciato dei paragoni a mio parere improbabili. Ribadisco: senza un background culturale e sociale l'hip hop e' senza anima, ed in italia manca. Al basket non serve, e' uno sport, non deve esprimere una visione del mondo.

passo e chiudo...