Passport Music

Solo gli stupidi non cambiano opinione, ed io, che stupido di mio lo sono abbastanza, mi sono convertito. Non fraintendetemi, A Milli continua a farmi cagare e la mia opinione di Bangladesh resta che sia un presuntuoso coglione montato che dovrebbe parlare molto meno. Però il mixtape Passport Music è potentissimo. E, soprattutto, fa vedere dei lampi di talento che, fino a qualche mese fa, mai avrei attribuito al signor Shondrae Crawford. E c’è di più: seguendo le orme di quello che ha fatto Pharrell Williams, ovvero trasformandosi da “semplice” produttore in artista tout court, Bangledesh massimizza le proprie capacità di musicista e di artista. Che non è poco…
Per essere chiari: si tratta comunque di musica da club con tastierine sintetiche in primo piano e testi con poca sostanza e molto “flashy”, ma i ritmi pieni e “grassi” riescono a trovare una propria identità, diversa da quella degli hitmakers che vanno di moda ora (e cui Bangladesh sembra ispirarsi), vedi Neptunes e Timbo. Siamo dalle parti di uno Swizz Beats con orecchio musicale e talento (se riuscite a immaginare una cosa del genere). Aggiungiamo una spruzzatina di Diplo (con annessa M.I.A., chiaro) e la storia funziona.
Ovviamente si tratta di un mixtape (anche se uno di Don Cannon, come evidenziano le esplosioni e i flipper disseminati dappertutto) e qualche scivolone c’è, ma non è un dramma (per uno della mia generazione, ad esempio, è difficile fare la faccia seria di fronte al campione di The Final Countdown degli Europe).
Interessante è anche come Bangladesh, che evidentemente non è un fesso, cerchi subito di portare in primo piano una click di supporto (vedi sempre Neptunes e Timbo). Qui qualche problema c’è, ma mi riservo di esprimermi più avanti: per ora mi limito solo ad osservare che gli artisti della Bangladesh Production Company sembrano presi pari pari dal bignamino della minietichetta di successo: Big Fraze dovrebbe essere l’MC ipnotico sudista “killing the hooks”, Tom Foolery il maestro dei “mad flows” e Muffy la zoccolona di turno. In realtà, Big Fraze sembrerebbe un clone dei fastidiosi “sussurratori” di turno, Tom Foolery un pasticcione spesso confuso e Muffy la versione fashionista di una Missy Elliott bona e un po’ puttana ma probabilmente senza troppo talento.
In ogni caso, al di là di uno spessore ancora da provare, il mixtape scorre liscio e tutti fanno la propria parte, soprattutto Muffy che appare la più sicura al microfono (vedi Gone Hate, Ike Turner e la propria interpretazione di Diva). Paradossalmente il momento meno riuscito è quello del pezzo (insulso) con Busta Rhymes e Rick Ross (Girls Love Me). Per il resto, invece, c’è poco da dire: per come funziona la musica “urban” oggi, Bangladesh sa fare il proprio mestiere alla grande, e sa essere convincente anche quando tira fuori qualche lentone di altri tempi (Pleasure for Sale) senza nemmeno un secondo di autotune.