mercoledì 9 novembre 2005

Un Tributo ad ODB


Grande, grandissimo, sregolato, talentuoso, folle, e chi più ne ha più ne metta. Russell Jones, da New York, classe 1969, era tutto questo, ed anche di più. Dodici figli da undici donne diverse, un disco destinato ad entrare nella storia (Return to the 36 Chambers: The Dirty Version), collaborazioni con i Neptunes (prima che Williams e Hugo diventassero le puttane che sono ora), contratto con la Rocafella Records: tutto straordinario, tutto vissuto al massimo, tutto sregolato e pazzesco. Tutto all’insegna del soul, un soul malato e distorto, arroganza ed amore, tecnica e superficialità. Proprio vero: non c’era padre al suo stile. Se il Wu-Tang era un esercito di combattenti ognuno con la propria tecnica, ODB era il Drunken Master…
Un jazzista del microfono, Ol’Dirty Bastard si stonava e poi entrava in studio, per tirarne fuori quasi sempre pezzi assurdi… Shimmy Shimmy Ya, dal primo album, scalda ancora le folle di tutto il mondo, summa della “filosofia” dello Sporco Vecchio Bastardo, energia allo stato puro. ODB si poteva permettere tutto quello che a nessun altro rapper è concesso: rappare fuori tempo, interrompere una strofa a metà per cantare Somewhere Over The Rainbow, riproporre una strofa rappata al contrario, fare versi gutturali (senza dimenticare che aveva una tecnica niente male, quando voleva: per esempio, vedere l’incredibile imitazione dello stile di RZA in Hip Hop Drunkies con gli Alkaholiks).
In un mondo di finti gangsta omologati, non c’è mai stata cosa più rivoluzionaria di questo Rick James (biatch!) dell’hip hop…

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