Un Tributo a Prince Paul

Nella lista dei migliori produttori di tutti i tempi forse non lo trovate, ma questo è solo per ignoranza di quelli che compilano le classifiche. Paul Huston è uno dei più grandi di tutti, accreditato come l’inventore dello skit (quanti dischi hip hop senza skits avete sentito, negli ultimi 10 anni?), e mastermind dietro progetti di rilevanza storica come Stetsasonic (la prima hip hop band), De La Soul (3 Feet High and Rising e De La Soul Is Dead sono fra i capolavori del genere) 3rd Bass (il primo vero gruppo hardcore bianco) e Gravediggaz. Collaboratore di gente come RZA, Big Daddy Kane e Automator (dietro il moniker Handsome Boy Modelling School) e creatore di un suono sempre slegato dai canoni e pieno di ironia. Quando tutti campionavano James Brown, lui si divertiva coi Turtles e persino coi Parliament (secoli prima di Dr. Dre, all'epoca della Daisy Age), quando tutti i superproduttori erano alla ricerca del successo con le compilations a là Marley Marl lui tirava fuori Psychoanalysis (What Is It?), quando il mondo voleva i funkettoni lui inventava l’horrorcore. E così via, fino ad A Prince Among Thieves (da sentire, non solo per la prestazione stellare di Breezly Brewin, uno dei rappers più sottovalutati di sempre).

Prince Paul, diciamolo, è un genio. Talmente genio che alla fine, non capito, ne ha fatto le spese (anche se non becca nessuna Gas Face comunque…). L’ultimo album, Politics of The Business, è troppo arrabbiato per riuscire totalmente, ma Prince Paul è sempre un passo avanti. Anche quando, paradossalmente, vuole tornare un passo indietro, come appunto in Politics of The Business.
Se fosse nato bianco (o asiatico come Automator, ma non nero), Prince Paul sarebbe il cocco di tutti quelli che si strappavano le vesti per i remix dei Cornershop (con la batteria di 3 Is The Magic Number) e Fatboy Slim e che ora si strappano le vesti per DJ Danger Mouse e il Grey Album (troppo figlio del “situazionismo” hustoniano). O forse non è vero?