Asthra Gubba
(traducibile dal sassarese come “un’altra cosa” o “di un altro livello”) è il
nome di un gruppo sassarese composto da Nepa e Jack Sparra, attivo da vari
anni, ma arrivato alla prima uscita “vera” qualche mese fa. Grandi freestylers
del giro del Nord Sardegna e non solo, con Antares
il gruppo dimostra di essere una delle realtà “pensanti” più interessanti, a
parere di chi scrive, del suolo italico. In Antares, la maturazione del duo è
evidente: a testi “complessi” e quasi sempre slegati dalla punchline per
compiacere il pubblico, si accompagna una parte musicale che riesce a coniugare
uno stampo “classico” con visioni più moderne e consce delle tendenze attuali
in USA. Li abbiamo sentiti per voi e la chiacchierata è riportata sotto, confermando l'ottima testa dei ragazzi.
(Per scaricare gratuitamente Antares, il link è: http://tinyurl.com/agantares)
1) Sparra, sei l’autore di quasi tutti i beat del CD. Come li hai scelti,
in funzione della coesività musicale? Si nota una certa attenzione verso il
“suono moderno” che caratterizza oggi il rap: vuoi elaborare?
Jack
Sparra - Antares è un
disco che doveva suonare “spaziale” per antonomasia, senza però dover sfoggiare
particolari sperimentazioni nella sua costruzione musicale. L’idea era quella
di partire dalla creazione di beats dall’impostazione classica, con campioni
molto presenti, e integrarli poi con i sintetizzatori. Io sono un produttore
“ibrido”: mi piace partire da un sample, tagliarlo o metterlo in loop così
com’è, per poi completare il tutto con l’aggiunta di ulteriori suoni che
possano riempire determinate frequenze, creare nuove atmosfere e soddisfare
delle esigenze armoniche. Mi piace chiamare questo stile “classico futuro”: nel
rap ci ritroviamo ogni anno con delle nuove tendenze sonore, il cui difetto,
però, è quello di essere estemporanee. Il mio modo di aggiornarmi non si
risolve nel riprodurre il beat innovativo che tutti vogliono rifare, che tutti
rifanno e che dopo sei mesi finisce nel dimenticatoio, bensì nel comprendere
certi stilemi che mi ispirano, farli miei e allargare di conseguenza la mia
visione musicale.
Credo che un disco debba avere un suono di base, un’idea di fondo e una linea
precisa. Purtroppo, molti artisti hip hop, per necessità, pressapochismo o
scarsa lungimiranza, si preoccupano più di riempire gli spazi di un album con
delle tracce, spesso slegate le une dalle altre, senza un progetto o una
prospettiva. Prendiamo un cd, e avremo il banger da live, l’attimo di
riflessione, il pezzo sociale-politico, il posse
cut, la lover, la canzone
sull’infanzia e via dicendo: ogni brano ha le sue peculiarità, riflette le
caratteristiche e le impostazioni del tipico brano del suo sottogenere, e quasi
sempre è prodotto da un beatmaker diverso.
Non basta che una traccia sia buona, deve anche avere un suo ruolo
nell’economia dell’intero album. In Antares
non esiste una produzione che stoni totalmente con le altre, si è cercato, pur
nella varietà dei mood, di mantenere
uno standard.Mi sono concentrato
quindi sulla scelta dei campioni di partenza – campioni in genere molto
elettronici, rimanendo sulla fine dei ’70 e la prima metà degli anni ’80 –,
creando i beats adatti solo laddove trovassi dei suoni capaci di adattarsi ai
generi di canzoni che volevamo nell’album, e nel contempo di amalgamarsi agli
altri brani.
Sarà l’età, sarà la routine, ma a un certo punto capita a tutti. Arriva una certa insicurezza/insoddisfazione e i rapper devono cambiare nome.
Il primo che mi ricordo è stato Frost, seguito a ruota da Tragedy Khadafi.
Ma nel loro caso, la cosa sembrava naturale e giustificabile: è un po’ difficile spacciarti come “Kid”, quando l’età è vicina alla pensione, e certamente la parola “Intelligent” stona, quando stai sforacchiando i vestiti di Versace dei nemici a colpi di Uzi.
Così come non fu una sorpresa che, dopo certe tragedie personali, Zev Love X dei KMD ritornasse in scena sotto la nuova guisa di MF Doom, completo di maschera da Dottor Destino e tutto.
Successivamente, la poli-identità artistica è stata sdoganata definitivamente dal Wu-Tang. La necessità di re-invenzione da parte di Prince Rakeem (diventato The RZA) e Genius (The GZA), nasceva dal fatto di rifarsi una verginità dopo i non esaltanti trascorsi in Tommy Boy e Cold Chillin’ rispettivamente, e si è trasformata in un trionfo di soprannomi per ogni membro del Clan (come dimenticare l’esilarante skit di Ed Lover sul secondo album di Method Man)? Va notato che, però, a parte qualche aggiustamento nello spelling, i membri originali del Wu-Tang hanno sempre inciso con lo stesso nome, nonostante la cornucopia di pseudonimi.
Lo sdoganamento del cambio d’identità, successivamente, ha favorito tre tipi di cambio di identità:
1) cambi di nome per motivi legali: mi vengono in mente Smiff’n’Wessun in Cocoa Brovaz, il breve giro degli Artifacts come Brick City Kids e Slum Village/J88. Probabilmente, il discorso vale anche per Jay Dee/J Dilla (oltre alla necessità di differenziarsi da quel monumento vivente all’imbarazzo che è l’altro JD, Jermaine Dupree). In questo caso, poco da dire: la regola 4080 vale sempre, nell’industria del rap.
2) Cambi di nome per poliedricità: alcuni artisti hanno una tale gamma di espressione artistica che è difficile ingabbiarli in un solo moniker: Madlib (DJ Rels, Beat Conductor/Konducta/Konductah), Kool Keith (Dr. Octagon, Dr. Dooom, Big Willie Smith, Tashan Dorrsett etc.) e il già citato Zev Love X (MF Doom, King Gheedora, Victor Vaughn), hanno inciso sotto una varietà di nomi che in massima parte giustificano i vari pseudonimi usati, e testimoniano il livello di ossessione per il Wu-Tang del signor Daniel Dumile.
3) Cambi di nome per indecisione/opportunismo/coglioneria: qui la situazione si fa già più imbarazzante: di solito, infatti, gli artisti che iniziano in un modo e a un certo punto cambiano nome commettono due errori. Il primo è quello di scegliere nomi più scadenti/noiosi/idioti degli alias iniziali (un chiaro esempio sono 2Pac/Makaveli, Medaphoar/MED, Everlast/Whitey Ford, Puff Daddy/P Diddy/Diddy e 8-Off/Agallah/Don Bishop Agallah, che prenderebbe il premio se non ci fosse quel capolavoro del nonsense che è Mos Def/Yaasim Bey). Un errore chiaramente imperdonabile, ma mai come il secondo: consegnare di solito la carriera alla mediocrità. Esempi? Cappachino/Cappadonna (dopo la prima apparizione su Cuban Linx e il primo album, è stata tutta discesa), Jo-ell Quickman/Joell Ortiz (vabbè, nel suo caso non c’è mai stato altro, nonostante mezzi di base impressionanti. Incidentalmente, il primo nome era inascoltabile!), ma anche MF Grimm/Jet Jaguar/GM Grimm. Nel caso di Freddie Foxxx/Bumpy Knuckles e di What What/Jean Grae, l’eccezione che conferma la regola vuole che questi ultimi due siano riusciti, almeno per qualche momento, a riaccendere l’interesse su di loro.
4) Cambi di nome nel tentativo di rinvigorire la propria carriera. E qui arriviamo all’apice della tristezza, in quanto questo cambio di nome è l’ultimo colpo di coda prima dell’oblio. Senza ritorno, parrebbe. Ricordate N.Y. Oil (Kool Kim degli UMC)? Dr.Ama (Dark Skinned Assassin)? Swigga (L-Swift dei Natural Elements)? Supercoven (Goretex Medinah dei Non Phixion)? No? Nemmeno noi.
Quantomeno P.A.P.I., ovvero l’incomparabile Noreaga, ha avuto il buon senso di ammettere che si tratta di un tentativo: se le cose vanno male, tornerà a farsi chiamare N.O.R.E., come sempre. Più che pragmatico, thugmatico. Sono sicuro che gli piacerebbe.
E ora arriva la pietra tombale a questo trend. Gucci Mane ha recentemente annunciato su Twitter (per altro senza errori di ortografia- anzi, solo uno) che da Luglio il suo nuovo nome sarà Guwop.
Guwop.
Guwop.
Guwop. Ora possiamo morire contenti.*
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* I cinghiali veri, invece, non cambiano mai nome. Vedi Shorty Shit Stain, che resta coerente in saecula saeculorum.
Notorious B.I.G. non è mai stato il mio
rapper preferito, ma mi capita di pensarci. Spesso, ultimamente. Era uno bravo:
la natura lo aveva dotato di quasi tutto quello che serve per essere il numero
uno. Flow, voce, umorismo, senso della costruzione delle canzoni, one-liner
devastanti (“Your reign on top was short like leprechauns”, anyone?), e via
dicendo: aveva tutto.
E quando è morto, così tragicamente, ha
lasciato molti rimpianti (tranne che nel caso del suo supposto migliore amico,
che è diventato personaggio globale solo grazie allo sfruttamento dell’immagine
di Biggie. Prima era noto soprattutto per essere quello che faceva il duro alla
Uptown, e poi andava a piangere di non essere licenziato). Ma, a posteriori, si
potrebbe pensare che la carriera del Notorious One fosse già in fase
discendente, per certi versi. Quello che è sicuro, è che il tempo è stato
galantuomo e i primi due album di Christopher Wallace suonano ancora molto
bene.
Un’altra cosa che è sicura, ancora di più
della prima, è che la tragica morte precoce ha impedito a Notorious B.I.G. di sputtanarsi
come hanno fatto tanti suoi colleghi.
Morendo quasi due decadi fa, infatti, si è
risparmiato l’umiliazione di cinque duetti che, se fosse ancora vivo, Biggie
avrebbe sicuramente registrato:
1) Rhianna.
Questo è sicuro al 100%. Immaginatevi Biggie in qualcosa di goffo come Umbrella pt. 2 o similia. Peggio, immaginatelo in un video tipo Take Care, con il bianco e nero “artsy”, qualche animale a caso e i
calzoni stretti. Come bruciarsi una carriera in tre minuti, scanditi dai
coretti da gatta morta di Rhianna.
2) Lil
Wayne. Anche questo è una scommessa pressoché sicura. E il fattore brivido
è ugualmente alto. Già me lo figuro, a partire dal campione dei Communards o
altra mondezza da one-hit-wonder di metà-fine anni ’80 (Go West? One Night in Bangkok? Flash and the Pan?
Oppure i ’90? La mente vacilla). E sento nel retro del cervello quella vocetta
da rana bollita di Wayne che, dopo il primo verso di Biggie, si insinua nelle
nostre coscienze: “Yoooooooooo... It’s ya Boy Wayne... Drinking sizzurp with my
man Biggieee... Making Millions! Young Money! Bad Boy! Tougher than Nigerian
hair...” per poi partire con qualche non sequitur dei suoi, o una delle mille
metafore scontate sulle stagioni. Nel video, manco a dirlo, ci sarebbe stata
una sequenza slo-mo in cui baby si sfrega le mani per dieci secondi mentre
cammina su una strada in cui sono allineate tante future deputate del PDL. E
esplosioni di fuochi artificiali. Tante esplosioni.
3) Gruppo
pseudo rock prodotto da Timbaland. Devo aggiungere altro?
4) David
Guetta. Non voglio aggiungere altro. Anzi no. Il video sarebbe stato
certamente in piscina e la base pseudo-house di quart’ordine.
5) Rick
Ross. Possiamo solo immaginare il livello di stalking che il Bawse avrebbe
fatto a Biggie per averlo su un suo pezzo. The
Emperors, World’s Fattest, o America’s Illuminati il titolo più
probabile, a giudicare dalla fantasia dell’agente Ross quando si tratta di fare
collaborazioni con i pesi massimi. In tutta onestà, devo anche dire che un beat
dei J.U.S.T.I.C.E. League con verso di Biggie non avrebbe fatto nemmeno così
schifo, ma l’immancabile remix con Wale, Meek Mill e Drake mi sfianca anche
solo come possibilità. Video in yacht? L’idea di Ross e Notorious in bianco non
la voglio nemmeno contemplare.
L’uscita dei due volumi di Esse Esse War, mixtape fortemente voluti dalla coppia Josè Quervo/Senka (ovvero Morto che Parla), a Sassari è stata salutata come un piccolo evento. Compilation eterogenea ma non troppo, Esse Esse War ha radunato quasi tutte le migliori realtà del rap turritano, di cui in questo momento MCP sembra essere centro nevralgico, anche visto il lavoro con l’etichetta La Mannaia Records, che sta diventando un punto di riferimento per molti talenti della scena. Forse proprio con Esse Esse War Senka (SNK nel proseguo) e Josè Quervo (JQ) hanno fatto il salto di qualità, dopo avere affinato le skills con anni di demo e concerti senza sosta. Ci sembrava giusto parlare del progetto “pivotal” della scena sassarese proprio con loro, dopo l’uscita di singoli e video e in attesa di altri video e di serate a tema.
1) Come e quando è nata l’idea di Esse Esse War?
SNK
Il termine Esse Esse War è stato coniato circa 3 anni fa, durante le registrazioni di Necro Loquio, per indicare la nostra condizione, cioè gente che fa guerra a Sassari. Per guerra s'intende la musica, il modo con cui noi portiamo avanti una "guerra psicologica" contro tutto quello che ci fa schifo.
2) Volete parlare del mixtape per chi non lo conosce?
JQ
L’idea del mixtape è nata subito dopo aver fatto uscire Necro Loquio. Al tempo facevamo diverse collaborazioni con i Gremi Flow e visto che ci eravamo trovati bene con gli mc’s che hanno fatto i featuring in NL, abbiam deciso di tirare su un progetto come Esse Esse War, cercando di far rientrare tutte le persone che rappassero o facessero beat e che a nostro parere fossero in grado di tenere alto il livello del rap made in Sassari. I nomi non stiamo ad elencarli, basta che scaricate i due volumi e vi sentite quanta bella gente c’è dentro.
Francesco Mariani in arte Rupez è un rapper che ha fatto un EP, dal titolo Lov.EP, che rischia di diventare un game changer. Nell'era della ricerca ossessiva di visualizzazioni su Youtube, il giovane barbaricino se ne fotte della moda e rischia in proprio: inutile dire che il risultato è una collezione di canzoni personale e di impatto, d'impostazione classica ma mai datata, anzi fresca nella propria identità ben definita. Mi sembrava giusto parlarne (e vedrete nel corso dell'intervista che le peculiarità di Lov.EP sono tante): in maniera strana e imprevedibile, alla vigilia della chiusura delle vendite dell'EP in edizione limitata, stranamente (per uno riservato come Rupez), ne è venuta fuori una chiacchierata in cui a volte i ruoli dell'intervistatore e dell'intervistato si confondono (anche se io cerco di stare nel mio, non era questo lo spazio per i miei eccessi) ma in cui tutto lo spirito di Lov.EP viene fuori in maniera unadulterated. Buona lettura.
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1) Vuoi parlarci della genesi di Lov.EP? È vera la cosa che è stato scritto in poco tempo e che le basi sono state scelte “a caso”?
Sì, è vero che è stato scritto in pochi giorni, ma non è esatto dire che le strumentali sono state scelte a caso.
La storia è questa: ero a Nuoro dai miei per il Natale, e, non avendo lì internet, di solito lavoro a photoshop o disegno quando non esco. Una sera stavo appunto finendo un lavoro, e nel mentre ho aperto a caso una cartella di strumentali tra le tante che ho nell’hard-disk da mettere in sottofondo, e ho sentito la base di Volando Via… ho sentito subito l’istinto di scriverci ed è uscito il pezzo, senza pensarci troppo, di getto, in un’oretta circa. Diciamo che io scrivo così, sempre, senza preoccuparmi dell’ermetismo eccessivo o di chi possa ascoltare i pezzi. Non mi interessa minimamente chi ascolta, perché parto dal presupposto base che scrivo per me e basta. Io scrivo e faccio la musica che vorrei ascoltare io (questo quando non ho scadenze o devo scrivere per i featuring, dove lì il discorso è diverso e un po’ più ragionato su un certo feeling tra me e chi sta con me sul pezzo, per non creare troppo distacco…).
Comunque poi dopo aver scritto Volando Via, ho sentito la base di Aspettando: ho visto un filo tra le due e l’ho solo teso, e da lì in poi ho solo cercato di stare su uno stato d’animo nei giorni successivi, che poi si è modificato ed evoluto nei testi e parole… quindi, per esempio, la base di Tu è stata scelta perché doveva fare da boom emotivo… la comparsa, il finalmente vederLa! Santostereo invece è la speranza, il rialzarsi dopo la caduta, la vocina dentro che ti dice”dai!!!”, e così le altre basi mi hanno dato lo stato d’animo giusto su cui raccontare questo… Tutto questo è successo nei 5 giorni dal 27 al 31 dicembre, che infatti sono quelli scritti sull’adesivo attaccato allo slim.
Per me non è poco… ho scritto un EP di 7 pezzi in un fine settimana! Non guardo queste cose, se ho tempo e sopratutto “sento” ciò che sto scrivendo, tutto è più facile e veloce… non sono di quelli che si mettono e dicono “ah, adesso faccio la supermetrica” o “adesso faccio il pezzo hardcore o per ridere”. Scrivo sentimenti, o meglio, cerco di descrivere l’emozione che può dare ogni situazione… in altra maniera non saprei fare. Vivo di mio tutte le cose molto di stomaco, e la mia musica è riflesso obbligato di una sensazione più viva e immediata possibile. Questo EP sono i miei giorni di allora (“i giorni sono i miei, ma te li sto dando”).