Shadez of Fat
Ultimamente, data anche la mia spiccata propensione ad aumentare di peso (e di panza), mi sono messo a riflettere sul discorso “Grasso è bello”. Che detta così è una banalità di quelle a là “Non ci sono più le mezze stagioni”. Una stronzata pazzesca, infatti.
E dire che il grasso il suo fascino ce lo ha. Nel calcio come nel rap come nel mondo del cinema, la mia visione romantica mi porta a vedere il “buzzicone” come una sorta di asceta che preferisce coltivare la propria arte piuttosto che dedicarsi ad attività di routine, noiose e per palati poco fini come l’ottenimento di un fisico cesellato.
Un Beto Acosta con il fisico di Walter Nudo sarebbe snaturato a dire poco.
Action Bronson magro perderebbe il 50% del potenziale.
John Goodman con 70 kg in meno sarebbe una nullità.
Lou Albano rende meglio in versione XXL, nel video di Cindy Lauper.
Ma al di là di queste forme più nobili e utopiche del grasso, dire che tutto il grasso è bello non regge: c’è grasso e grasso. Io per ora ne ho identificati quattro tipi, di grasso.
Il primo è il “non grasso”. In un mondo di Kate Moss cocainomani, una ragazza di più di 55 kg magari è considerata “in carne”, “cicciona”, “frustellona” o quel che volete voi. Non ci vuole molto buon senso per capire che è una fesseria, quindi sul “non grasso” non ci perdo più tempo del dovuto.
Mi soffermo di più, invece, sul “grasso di contorno”. Questo è quel grasso classico che si vede nei film, che solitamente trova in una alterità magra la propria ragione di vita. È un grasso ancora “recuperabile”, ma che per essere riabilitato deve (secondo la visione miope e stereotipata di Hollywood, per esempio) rinunciare alla pinguedine per abbracciare quel credo salutista-esibizionista che ben conosciamo (una sorta di California state of mind, se volete). Ma se questo grasso, con tutte le distinzioni del caso, esercita ancora le proprie facoltà intellettive (seppur con obbiettivi sbagliati), invece si cade nel baratro con il “grasso immondo”, la nostra terza categoria. Questo è quel grasso senza speranza di redenzione. Un grasso esagerato e ameboide che preclude ogni altra funzione. Un abominio estetico che non ha ragione di essere. Il passaggio fra l’esercizio prioritario della propria arte a una discutibile schiavitù nei confronti del cibo. Il Fat Bastard è un’ameba, mica un modello di riferimento.
Però c’è un altro grasso, quello bello: è il “grasso funzionale”. In questo senso, un po’ di sana abiura del narcisismo in funzione di una pinguedine non esagerata rimanda alla capacità di godersi certi piaceri intellettuali senza porsi limiti.
Ed è quello che rompe i tabù artistici. Most of my heroes are not on a diet, per parafrasare I Public Enemy. Notorious B.I.G. era fatto per rappare. Dubito che se fosse nato con le fattezze di Tyson Beckford avrebbe scritto pezzi meravigliosi come alcuni dei suoi.
Ripeto, il grasso funzionale, oltre che simpatico, ha un suo perché. Non ci credete? Chiedetelo a Maradona, Kevin Smith, Raekwon. E Action Bronson e Beto Acosta, già che ci siete.
E dire che il grasso il suo fascino ce lo ha. Nel calcio come nel rap come nel mondo del cinema, la mia visione romantica mi porta a vedere il “buzzicone” come una sorta di asceta che preferisce coltivare la propria arte piuttosto che dedicarsi ad attività di routine, noiose e per palati poco fini come l’ottenimento di un fisico cesellato.
Un Beto Acosta con il fisico di Walter Nudo sarebbe snaturato a dire poco.
Action Bronson magro perderebbe il 50% del potenziale.
John Goodman con 70 kg in meno sarebbe una nullità.
Lou Albano rende meglio in versione XXL, nel video di Cindy Lauper.
Ma al di là di queste forme più nobili e utopiche del grasso, dire che tutto il grasso è bello non regge: c’è grasso e grasso. Io per ora ne ho identificati quattro tipi, di grasso.
Il primo è il “non grasso”. In un mondo di Kate Moss cocainomani, una ragazza di più di 55 kg magari è considerata “in carne”, “cicciona”, “frustellona” o quel che volete voi. Non ci vuole molto buon senso per capire che è una fesseria, quindi sul “non grasso” non ci perdo più tempo del dovuto.
Mi soffermo di più, invece, sul “grasso di contorno”. Questo è quel grasso classico che si vede nei film, che solitamente trova in una alterità magra la propria ragione di vita. È un grasso ancora “recuperabile”, ma che per essere riabilitato deve (secondo la visione miope e stereotipata di Hollywood, per esempio) rinunciare alla pinguedine per abbracciare quel credo salutista-esibizionista che ben conosciamo (una sorta di California state of mind, se volete). Ma se questo grasso, con tutte le distinzioni del caso, esercita ancora le proprie facoltà intellettive (seppur con obbiettivi sbagliati), invece si cade nel baratro con il “grasso immondo”, la nostra terza categoria. Questo è quel grasso senza speranza di redenzione. Un grasso esagerato e ameboide che preclude ogni altra funzione. Un abominio estetico che non ha ragione di essere. Il passaggio fra l’esercizio prioritario della propria arte a una discutibile schiavitù nei confronti del cibo. Il Fat Bastard è un’ameba, mica un modello di riferimento.
Però c’è un altro grasso, quello bello: è il “grasso funzionale”. In questo senso, un po’ di sana abiura del narcisismo in funzione di una pinguedine non esagerata rimanda alla capacità di godersi certi piaceri intellettuali senza porsi limiti.
Ed è quello che rompe i tabù artistici. Most of my heroes are not on a diet, per parafrasare I Public Enemy. Notorious B.I.G. era fatto per rappare. Dubito che se fosse nato con le fattezze di Tyson Beckford avrebbe scritto pezzi meravigliosi come alcuni dei suoi.
Ripeto, il grasso funzionale, oltre che simpatico, ha un suo perché. Non ci credete? Chiedetelo a Maradona, Kevin Smith, Raekwon. E Action Bronson e Beto Acosta, già che ci siete.
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