martedì 8 marzo 2011

La Redenzione di Tony Yayo

Che rappando Tony Yayo sia un cesso lo sanno anche i sassi (pure quelli di Matera, che ultimamente non se la passano bene, a quanto si dice). Che il rapper sia riuscito a distinguersi come rapper più scarso della G-Unit (dove pure non è che mai siano stati abbondanti i fulmini di guerra) è certamente un traguardo notevole.
E ancora più notevole è certamente il fatto che il suo Thoughts Of A Predicate Felon sia stato probabilmente il peggior album uscito sotto etichetta G-Unit: viste le cagate post  Beg For Mercy, è certamente un record impressionante.
Detta così, sembrerebbe finita (“un chiodo nella bara”, direbbe Eminem) per Yayo, ma non è questo il caso, anzi. Questo è un post di apprezzamento. Se mi seguite un attimo, provo a spiegarmi.
Assodato che le qualità tecniche gli fanno difetto, infatti, il buon Marvin, che è un “goon” coi controcazzi (non ha problemi a picchiare anche i ragazzini, se questo può essere utile a 50 Cent), ha una qualità che è rara, anzi rarissima nel business di oggi. Qualità che lo rivaluta del tutto e che cancella qualunque misfatto pseudo R’n’B o rima zoppicante.
Tony Yayo è uno di quei rarissimi artisti che sanno ritagliarsi una fetta di celebrità per fare quello che vogliono. Per essere più chiari, al di là dei compromessi da fare con la Interscope, Yayo è conscio che la “fan-base” che la G-Unit si è costruita nel corso degli anni può servire anche per assorbire quella che è la produzione più personale dell’artista. Che non necessariamente è quella “trademark” della G-Unit (suoni “lisci”, megamastering e canzoni da un milione di dollari su cui impostare le generiche schermaglie gangsta).
Trovo molto rinfrescante che Yayo sia un fan del Based God Lil B. Adattando il sistema “based” alla propria estetica, Tony Yayo riesce a coinvolgere l’ascoltatore in un caleidoscopio di rime disgiunte e non sequitur sorprendenti che aggiungono fascino ai limitati contenuti e flow del rapper. Se a questo si aggiunge che l’orecchio di Yayo per i beat è di sicuro migliore della media dei colleghi e che a questo il “Gun Powder Guru” accoppia un’ottima capacità di apprezzare rappers diversi, non solo da quanto uno si aspetterebbe rispetto all’affiliazione del newyorkese, ma proprio in generale, è facile capire come la redenzione sia completa.
Per una conferma, basta ascoltare Hawaaian Snow, tutto realizzato in coppia con Danny Brown da Detroit, uno dei rappers più interessanti in giro in questo momento. La voce nasale di Brown e il suo flow a base di immagini al contempo disgustose e accattivanti nella costruzione delle metafore fanno da perfetto complemento alla cadenza leggermente “stoned” e minacciosa di Yayo nella rivisitazione idiosincratica dei classici concetti G-Unit, contaminati da un immaginario da crack-strip club, fumetti Marvel, film di mafia a basso budget e riminiscenze “trap-hop”. Yayo si sa reinventare in maniera naturale, fa quello che gli piace fregandosene delle mode, realizza un mixtape con un solo produttore (Doe Pesci dal Queens) con un complice dai calzoni stretti come Danny Brown e l’unico ospite che chiama è Lil B, egualmente amato ed odiato per il proprio rap spontaneo e privo di regole e sicuramente all’opposto delle posizioni, in teoria.
Per me la redenzione è completa. Se qualcuno di voi invece ha dubbi, si recuperi Hawaaian Snow e poi ne riparliamo. Qui sul blog, possibilmente.

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