martedì 15 giugno 2010

Robot Kaard - Overtime

Robot Kaard - Overtime


Puntuale come al solito, torna il prolifico beatmaker napoletano Robot Kaard (aka Carmine De Maria, aka John Cardema, aka mille altri nomi), con Overtime, un album/EP fatto di13 tracce prettamente strumentali (nonostante qualche voce effettata e distorta).
Rispetto al precedentemente recensito Calculator, che si ispirava ad atmosfere “teutoniche”, qui siamo in zone diverse e più “moderne”. La visione è chiaramente diversa, e sebbene la mano dell’autore si senta, si vira verso un suono che riesce a coniugare melodia e paranoia in maniera quasi sempre ben riuscita. Robot Kaard riesce infatti a trovare la misura per quanto riguarda lo stile, ormai diventato, oltre che personale, riconoscibile: momenti urticanti che lasciano spazio a sghembe e scheletriche melodie che sembrano arrivare dallo spazio profondo.
In più di un momento, Overtime ci porta in territori che sembrano luoghi di confine fra l’elettronica e l’hip hop di nicchia (quello in stile Def Jux, per capirci), dove dominano le ritmiche “dopate” a media gradazione di BPM e i suoni filtrati ma pur sempre grassi e, in senso molto lato, funk.
Ad esempio, illuminante in questo senso è l’iniziale Attack, su cui non sarebbe inconcepibile pensare di sentire il rap staccato e avvolgente di Aesop Rock. E se Cut Waving, con le sue atmosfere rarefatte, ci riporta in territori più prettamente elettronici, Day Digital, Smile e Too Paranoid sembrano carcasse olografiche di pezzi disco anni ‘80.
Efficaci le scelte ritmiche (anche se rullanti più potenti in qualche momento non avrebbero guastato), e buona la variazione strumentale, nella ricerca dell’omogeneità dello stile. I momenti più aggressivi e “acidi” come Light e Rue Boyer bilanciano quelli più dopati in maniera naturale e tengono su una scaletta che non annoia. In questo senso, la capacità di tenersi praticamente sempre sotto i 3 minuti per canzone, da parte dell’autore, costituisce una prova di intelligenza, vista la natura delle composizioni, che sembrano “sketch” volti a suggerire atmosfere, più che canzoni compiute. E, visto il campo di gioco scelto, questo non può che essere un pregio.


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