In Cerca di Stoney Jackson
Strong Arm Steady - In Search of Stoney Jackson (Stones Throw, 2010)
Sinceramente, chi sia Stoney Jackson lo ignoro, e sono troppo scazzato per andare a cercarmelo su Google (o, se siete particolarmente sfigati, sul Bing della Microsoft).
So che deve avere qualcosa a che fare con J.Rocc, che pare sia il Deus ex machina che ha presentato Madlib agli Strong Arm Steady, visto che il blog del Funky President si chiama proprio Stoney Jackson.
Sia quel che sia, SAS fino ad oggi aveva sofferto di quello che Muggs definirebbe “il morbo di Planet Asia” (che guarda caso compare come ospite in alcune tracce di Stoney Jackson).
Ovvero, al di là di una discreta perizia tecnica, i Nostri risultavano piuttosto generici nella scelta dei beat e nella capacità di apparire personali (e con personalità, soprattutto). In questo senso, l’esempio principale era proprio un Phil The Agony completamente involuto, nel corso degli anni, dopo le prime, impressionanti, prove con i Barbershop MC’s, fino alla trasformazione in un rapper poco più che mediocre.
Enter Madlib. Ovviamente mr. Jackson (che è anche uno stonato) ne sa una più del diavolo e, in palese trip da Dilla, cuce addosso al terzetto del West un vestito nuovo, a base di (funky) soul in (moderato) lo-fi, campioni a base di piano discretamente “blunted” e vocals impregnati di anima, presumibilmente campionati da dischi non posteriori al 1969. E la cosa funziona alla grande: ma c’era da dubitarne?
La cosa interessante è come Madlib riesca a rendere le cose interessanti pur essendosi posto limitazioni ben precise per quanto riguarda la definizione di quello che dovrebbe essere il suono degli Strong Arm Steady, e di come, in controtendenza rispetto al solito, si impegni ad andare oltre i soliti (per altro geniali) schizzi di beat su cui ultimamente sembrava essersi appiattito (anche se il pp è fuorviante, ad averne di “appiattiti” così).
Ottimo il lavoro sulle ritmiche, sui tagli dei campioni, su interludi incollati alla fine delle canzoni in stile Muggs (o Dilla, per restare in tema), sull’interazione con gli MC, e sull’atmosfera in generale, che sembra beneficiare da un uovo di Colombo tanto ovvio quanto incredibilmente efficace.
Da parte loro, anche gli Strong Arm Steady sembrano meno svogliati e piatti del solito (vedi la stupenda performance di Phil The Agony in Pressure), e alzano il livello in maniera sorprendente, tenendo la scena con piglio grintoso e con liriche che riescono ad innalzarsi dal solito schema “hoes, cash, ‘dro” che tante volte abbiamo sentito, anche da loro, per optare invece per un approccio, che se non si può definire “conscious”, quantomeno risulta “adulto” (anche nel trattare i temi di droga e sesso, che sono molto più interessanti che in altre occasioni).
Anche la scelta degli ospiti, eterogenea come poche (si va da Talib Kweli a Sick Jacken), è effettuata con criteri assennati, e, da piccolo cultore delle frange del web, non posso che rallegrarmi del ritorno di un ex-scomparso come Montage One, una volta protetto di Xzibit e oggi discreto posse-rapper (True Champs suona come un bignamino della “true school” di Los Angeles, col solito Evidence in evidenza su un beat assolutamente assurdo).
Alla fine del piacevole ascolto (51 minuti senza tagli), tutto torna, anche il fatto che Madlib non ci metta neanche una parola in rima. Anzi no, mi viene in mente una domanda: ma perché Mitchy Slick è indicato come “featuring”? Non era parte del gruppo?
Sinceramente, chi sia Stoney Jackson lo ignoro, e sono troppo scazzato per andare a cercarmelo su Google (o, se siete particolarmente sfigati, sul Bing della Microsoft).
So che deve avere qualcosa a che fare con J.Rocc, che pare sia il Deus ex machina che ha presentato Madlib agli Strong Arm Steady, visto che il blog del Funky President si chiama proprio Stoney Jackson.
Sia quel che sia, SAS fino ad oggi aveva sofferto di quello che Muggs definirebbe “il morbo di Planet Asia” (che guarda caso compare come ospite in alcune tracce di Stoney Jackson).
Ovvero, al di là di una discreta perizia tecnica, i Nostri risultavano piuttosto generici nella scelta dei beat e nella capacità di apparire personali (e con personalità, soprattutto). In questo senso, l’esempio principale era proprio un Phil The Agony completamente involuto, nel corso degli anni, dopo le prime, impressionanti, prove con i Barbershop MC’s, fino alla trasformazione in un rapper poco più che mediocre.
Enter Madlib. Ovviamente mr. Jackson (che è anche uno stonato) ne sa una più del diavolo e, in palese trip da Dilla, cuce addosso al terzetto del West un vestito nuovo, a base di (funky) soul in (moderato) lo-fi, campioni a base di piano discretamente “blunted” e vocals impregnati di anima, presumibilmente campionati da dischi non posteriori al 1969. E la cosa funziona alla grande: ma c’era da dubitarne?
La cosa interessante è come Madlib riesca a rendere le cose interessanti pur essendosi posto limitazioni ben precise per quanto riguarda la definizione di quello che dovrebbe essere il suono degli Strong Arm Steady, e di come, in controtendenza rispetto al solito, si impegni ad andare oltre i soliti (per altro geniali) schizzi di beat su cui ultimamente sembrava essersi appiattito (anche se il pp è fuorviante, ad averne di “appiattiti” così).
Ottimo il lavoro sulle ritmiche, sui tagli dei campioni, su interludi incollati alla fine delle canzoni in stile Muggs (o Dilla, per restare in tema), sull’interazione con gli MC, e sull’atmosfera in generale, che sembra beneficiare da un uovo di Colombo tanto ovvio quanto incredibilmente efficace.
Da parte loro, anche gli Strong Arm Steady sembrano meno svogliati e piatti del solito (vedi la stupenda performance di Phil The Agony in Pressure), e alzano il livello in maniera sorprendente, tenendo la scena con piglio grintoso e con liriche che riescono ad innalzarsi dal solito schema “hoes, cash, ‘dro” che tante volte abbiamo sentito, anche da loro, per optare invece per un approccio, che se non si può definire “conscious”, quantomeno risulta “adulto” (anche nel trattare i temi di droga e sesso, che sono molto più interessanti che in altre occasioni).
Anche la scelta degli ospiti, eterogenea come poche (si va da Talib Kweli a Sick Jacken), è effettuata con criteri assennati, e, da piccolo cultore delle frange del web, non posso che rallegrarmi del ritorno di un ex-scomparso come Montage One, una volta protetto di Xzibit e oggi discreto posse-rapper (True Champs suona come un bignamino della “true school” di Los Angeles, col solito Evidence in evidenza su un beat assolutamente assurdo).
Alla fine del piacevole ascolto (51 minuti senza tagli), tutto torna, anche il fatto che Madlib non ci metta neanche una parola in rima. Anzi no, mi viene in mente una domanda: ma perché Mitchy Slick è indicato come “featuring”? Non era parte del gruppo?
3 commenti:
mi hai convinto,gli do un ascolto
ma quel CUCISCE?
Licenza poetica in stile Leopardi? :-)
No, ho semplicemente sbagliato. Mi suonava, sa com'è.
Corretto, comunque.
Strong Arm Steady ≠ fiaccume è un'equazione che devo provare per credere
Serio, credo di non aver mai ascoltao UN loro pezzo che si collocasse sopra alla fascia qualitativa mediobassa
Con l'aggravante che se presi da soli non sono nemmeno così male
Oh proverò
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