giovedì 16 luglio 2009

This Is Jim Jones

This Is Jim Jones è un documentario assolutamente affascinante nel modo di raccontare una figura marginale della cultura moderna (sì, anche hip hop) come Jim Jones. Ed è affascinante in quanto il maggior motivo di successo della pellicola ne costituisce anche il maggior difetto: la buona scrittura, infatti, mette in scena una versione “corporativa” della vita del Capo che, alla fine, risulta insipida. Il film, nel corso di un’ora e mezzo di interviste a vari personaggi -minori, per lo più- del giro Dipset (e del mondo dell’hip hop newyorkese) e footage d’epoca, ricostruisce la parabola di Jimmy dalla polvere alle stelle, ponendone in evidenza le doti di pervicacia e determinazione in maniera assolutamente chirurgica all’ovvio scopo di potenziare il “brand” Jim Jones.
E qui sta proprio uno dei problemi maggiori dell’operazione: Jimmy, nonostante una troppo alta considerazione di sé stesso (“Bitches wanna fuck me, niggas want to be me”, è il mantra già sentito che Jones proferisce all’inizio del film) è un personaggio non abbastanza interessante da reggere 85 minuti di film, soprattutto nell’ottica di un documentario che ne vorrebbe esaltare i pregi. Se Jimmy avesse sparato cazzate delle sue e riso in maniera grezza per tutti gli 85 minuti della pellicola, forse le cose sarebbero state diverse.
L’infanzia del Nostro è la classica “fucked up childhood” già vista e sentita mille volte, fra crackomani e un padre praticamente assente, e i primi passi verso la ricchezza sono scanditi da spaccio vario, amicizie profonde, “fallen soldiers” e via dicendo.
Come ovvio, niente di nuovo sotto il sole. E la cosa è tanto più problematica se si riflette sul fatto che, alla fin fine, Jones non ha affatto talento (come dice Angie Martinez in una intervista del film, alla fine Jones ha ottenuto un sacco pur avendo prodotto praticamente solo un singolo di successo). In questo senso, non potendo essere presa come punto di riferimento l’eredità musicale, si punta l’attenzione sulla determinazione del “Capo” di Harlem. E qui si entra in un altro ginepraio. Dame Dash, il vero mattatore del film, fa di tutto per dare a Jimmy il giusto lustro, ma la sostanza della storia è che la poca fama di Jimmy, in realtà, è dovuta alle connessioni dell’ex azionista della Def Jam ed alla capacità da parte di di Jimmy di infilarsi in posti dove normalmente i rappers (causa ignoranza e/o mancanza di agganci) non arrivano (tipo la listening session per Vogue, che non mi pare questa impresa).
E vani risultano gli sforzi di Dash di evidenziare i “successi” di Jim Jones, che risultano minuscoli rispetto a quelli delle figure veramente importanti del mondo dell’hip hop odierno. Al di là di tutto, Jimmy non ha cambiato il mondo, purtroppo per lui.
Dove invece viene fuori un po’ meglio la figura di Jim Jones è nei segmenti dedicati al “beef” con Cam’ron (per altro sempre assente) e al ricordo degli amici morti per la violenza da strada. Lì la figura da sbruffone da strada lascia il posto a un uomo con qualche cicatrice nell’anima...
La parte veramente interessante (e qui si torna al difetto di spessore) è quella del rapporto con Dash, che emerge in maniera tridimensionale e vera, e si configura come un vero e proprio sodalizio mentore-discepolo, fatto di sottile tensione competitiva ma anche di sincera amicizia (forse). Ma anche in questo caso, purtroppo per l’ego di Jimmy, Dame Dash ruba la scena.
This Is Jim Jones è un documentario forse istruttivo, ma rigido e troppo “ecumenico” (vedi la totale assenza del rapporto con Max B, che pure un ruolo importante ha avuto nella vita di Jimmy, nel bene e nel male), di cui si poteva tranquillamente fare a meno, anche se i momenti di nervosismo di Jones nella galleria d’arte, di fronte ai borghesi bianchi (viene in mente Tom Wolfe), valgono da soli la visione del film.


1 commento:

Anonimo ha detto...

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