Rick Ross - Deeper Than Rap
Se fossimo nel (mio) mondo ideale, uno come Rick Ross non esisterebbe.
Ma questo non è un mondo ideale, anzi. Gli MCs non sono tutti bravi come Kane e G Rap, tanto per iniziare. E poi il mondo dell’hip hop è diventato talmente corporativo da non avere più legami con quello che era il modello di successo di inizio anni ‘90 (il boom bap classico, per capirci).
In questo senso, Rick Ross ha pieno diritto di cittadinanza nel panorama hip hop odierno. Poco importa che la tecnica sia scarsa e la “street credibility” creata ad arte (leggi: una balla).
In analogia alla vita politica italiana, non importa chi sei e cosa fai, ma le balle che spari.
E le balle di Ross, in questo senso, sono interessanti (almeno per il fruitore medio di hip hop USA, ma non solo, evidentemente). Se in un disco monumentale come Only Built for Cuban Linx... il mood dominante era quello di Carlito’s Way, con una ineluttabilità del destino di fondo che non lasciava scampo ai protagonisti, Deeper Than Rap è a metà fra Cocaine Cowboys e un prequel molto glam di Scarface. Irresistibile, nei momenti migliori.
Il solito supereroismo e le manie di grandezza sono rigirati in versione “Miami Nights”, con (l’agente) Ross a fare la parte del Tony Montana di turno, tessera dello Yacht Club e Maybach nera incluse. A livello mainstream, non si può dire che l’approccio sia sbagliato: sillabe allungate a dismisura con un accento sudista da parodia, flow semplice e giochi di parole relativamente scontati si accompagnano a una serie di beats che, per quanto riguarda il mercato di massa, sono praticamente lo stato dell’arte. Quando Nas sgancia le proprie bombe liriche su Usual Suspects (che sembra Dead Presidents fatta di cocaina), il risultato è impressionante, senza se e senza ma. E il livello delle produzioni, con minime eccezioni, resta altissimo per tutto l’album, con quella vena un po’ cheesy da spacciatore-loverboy anni ‘80 che si candida a sfidare il thug classico da fumetto.
Trovo affascinante come un personaggio insulso come Rick Ross abbia un orecchio tanto fino per le basi. Se gli andasse male (e gli andrà male, quando 50 Cent e Eminem lo avranno - presto - annichilito), dovrebbe smettere di rappare e riciclarsi come consulente per i beats di Nas. Il mondo gli sarebbe doppiamente grato.
Ma questo non è un mondo ideale, anzi. Gli MCs non sono tutti bravi come Kane e G Rap, tanto per iniziare. E poi il mondo dell’hip hop è diventato talmente corporativo da non avere più legami con quello che era il modello di successo di inizio anni ‘90 (il boom bap classico, per capirci).
In questo senso, Rick Ross ha pieno diritto di cittadinanza nel panorama hip hop odierno. Poco importa che la tecnica sia scarsa e la “street credibility” creata ad arte (leggi: una balla).
In analogia alla vita politica italiana, non importa chi sei e cosa fai, ma le balle che spari.
E le balle di Ross, in questo senso, sono interessanti (almeno per il fruitore medio di hip hop USA, ma non solo, evidentemente). Se in un disco monumentale come Only Built for Cuban Linx... il mood dominante era quello di Carlito’s Way, con una ineluttabilità del destino di fondo che non lasciava scampo ai protagonisti, Deeper Than Rap è a metà fra Cocaine Cowboys e un prequel molto glam di Scarface. Irresistibile, nei momenti migliori.
Il solito supereroismo e le manie di grandezza sono rigirati in versione “Miami Nights”, con (l’agente) Ross a fare la parte del Tony Montana di turno, tessera dello Yacht Club e Maybach nera incluse. A livello mainstream, non si può dire che l’approccio sia sbagliato: sillabe allungate a dismisura con un accento sudista da parodia, flow semplice e giochi di parole relativamente scontati si accompagnano a una serie di beats che, per quanto riguarda il mercato di massa, sono praticamente lo stato dell’arte. Quando Nas sgancia le proprie bombe liriche su Usual Suspects (che sembra Dead Presidents fatta di cocaina), il risultato è impressionante, senza se e senza ma. E il livello delle produzioni, con minime eccezioni, resta altissimo per tutto l’album, con quella vena un po’ cheesy da spacciatore-loverboy anni ‘80 che si candida a sfidare il thug classico da fumetto.
Trovo affascinante come un personaggio insulso come Rick Ross abbia un orecchio tanto fino per le basi. Se gli andasse male (e gli andrà male, quando 50 Cent e Eminem lo avranno - presto - annichilito), dovrebbe smettere di rappare e riciclarsi come consulente per i beats di Nas. Il mondo gli sarebbe doppiamente grato.
3 commenti:
non male...naturalmente togliendo quei ritornelli alla gigi d'agostino...
Lui è impresentabile, ma le produzioni sono quanto di meglio sentito in un disco mainstream nell'ultimo anno.
Ovviamente non comprerò mail disco di un simile cazzaro, ma va detto che se dovesse schiacciare quell'operazione commerciale che è Asher Roth io ci godrei assai.
Soprattutto perchè Asleep On The Bread Aisle è davvero un brutto disco.
Lui è impresentabile, ma le produzioni sono quanto di meglio sentito in un disco mainstream nell'ultimo anno.Esattamente il mio pensiero.
Posta un commento