mercoledì 8 aprile 2009

Jank!

Una mia intervista del 2006 a Jeff Jank, deus ex machina della grafica Stones Throw e grande a tutto tondo. L'intervista era su Comics Code, ma il sito è giù, al momento. Torna, promesso.

Ciao Jeff. Molti dei nostri lettori potrebbero non essere troppo informati sul tuo lavoro. Vuoi presentarti?

Vivo a Los Angeles, e per metà del mio tempo disegno: nell’altra metà sono art director di una etichetta discografica. Queste cose si sovrappongono, ovviamente.
Mi chiamo Jeff Jank. Questo non è il mio vero nome. La storia del mio nome è lunga e super noiosa, per cui mentirò e dirò che questo è il nome che mi ha dato la C.I.A. per proteggere la mia vera identità.

Quando è che per la prima volta ti sei interessato all’illustrazione e quando hai deciso di diventare un illustratore professionista?

Per strano che ti possa sembrare, di solito rimango sempre sorpreso quando qualcuno si riferisce a me come ad un illustratore, anche se questo è quello che faccio abbastanza spesso nel mio lavoro giornaliero. Sebbene disegnare sia sempre stata una delle mie principali attività sin da quando ero bambino, mi sono trovato a fare questo lavoro tramite giri vari, per fortuna o per incidente. Ci sono così tanti illustratori migliori di me che sono obbligato a trovare la mia nicchia per ogni progetto da illustrare.

Quali sono le tue influenze? Ci sono influenze che magari la gente non individuerebbe immediatamente?

I films, quelli francesi, italiani, americani, più o meno l’intera storia del cinema ha una certa influenza su quello che faccio, direttamente o indirettamente. Comunque, non sono mai stato un fan dei cartoni animati. C’è un ombrello di circa 20 o 30 artisti dei quali torno sempre a leggere o ripassare il lavoro - Marcel Duchamp, Goya, Raymond Pettibone, Francis Bacon – sono influenzato da loro. E sono influenzato dalle belle ragazze.

Come sei entrato in contatto con la Stones Throw?

Conosco Chris (Peanut Butter Wolf), il fondatore, da un sacco di tempo. Anni prima che ci fosse la Stones Throw abbiamo lavorato a progetti musicali o legati alla musica insieme. La gente vede Chris (solo) come DJ o produttore discografico ma per me, un suo grande talento è quello di attirare un sacco di persone creative nei suoi affari e nella sua sfera sociale per lavorare insieme su vari progetti. Ecco perché sono qui ed ecco perché questa etichetta esiste. Il manager dell’etichetta Egon ed io abbiamo iniziato a lavorare (alla Stones Throw) più o meno nello stesso periodo, per cui gestivamo l’etichetta in tre da casa. L’ho sempre visto, più che come un lavoro, come un progetto creativo a lungo termine.

I dischi della Stones Throw hanno una forte identità musicale. Come ti avvicini alla realizzazione e nel design delle confezioni dei CD e dischi?

In maniera diversa ogni volta. Non faccio tutte le diverse confezioni. Su alcune di esse lavoro insieme ad altri artisti, e non mi immischio proprio in un paio di esse. Nelle confezioni che faccio, la cosa su cui punto l’attenzione è sempre la musica stessa e la personalità degli artisti. Non cerco di dare ai dischi una identità Stones Throw pre-determinata. Alcune copertine sono disegnate, alcune basate su foto, eccetera.

Passi senza sforzo da un approccio molto “grafico” (come le copertine di Quasimoto) ed uno stile di design più “ufficiale” (come il progetto Madlib Invades Blue Note). Hai un tuo stile preferito?

Mi piacciono di più i disegni abbozzati di Quasimoto. Anche se non hanno nessuna uniformità. Ho cercato di renderli un po’ più uniformi, ma in realtà non sono abbastanza disciplinato per farlo. C’è una fiera tradizione di un modo di illustrare che sembra amatoriale nella musica hip hop – le copertine disegnate negli anni ’80 per Scholly D ed i Digital Underground ne sono perfetti esempi.

La copertina del disco di Madlib per la Blue Note è stata divertente, perché mi ha dato l’occasione di impiegare quello stile classico a là Reid Miles che tante persone hanno poi duplicato, ma sempre per dischi che non sono di jazz, e mai della Blue Note. Sebbene mi piaccia impiegare un sacco di disegni rozzi e carta sporca e macchiata per i dischi di Madlib, in realtà sono un fanatico dei packages eleganti e non “pieni”, con una tipografia di classe.

Hai creato l’immagine grafica di Quasimoto: come è avvenuto? Hai avuto qualche suggerimento da Madlib?

Ho adattato l’immagine dopo che era stata inizialmente creata da Keith Beats aka DJ Design, che è anche lui un vecchio amico. Ha disegnato tre di quei tizi in colori diversi per un vecchio singolo di Quasimoto. Mi ricordo che mi disse che essi rappresentavano i tre membri dell’altro gruppo di Madlib, i Lootpack. Era una copertina così strana che mi ispirò a continuarla. Quando Madlib ha registrato la canzone Bad Character, ho usato uno di quei tre personaggi per rappresentare la parte di teenager cattivo di cui parla nella canzone. Quas, come alias di Madlib, è in realtà “the unseen” (il non-visto, N.D.T.) rappresentato dalla spettrale figura che si vede guidare la Cadillac in copertina – lo spettatore non avrebbe proprio dovuto vedere Quasimoto. È stato il pubblico ad identificare il personaggio peloso con Quasimoto stesso, e nelle uscite successive abbiamo continuato in quella direzione.

Madlib non ha avuto nessun input diretto sui disegni dal punto di vista verbale, ma la musica è un’influenza diretta su tutto. Mi sono identificato con il senso dell’umorismo e quel senso di alienazione suburbana della musica del primo album, e i problemi frenetici ed adulti del secondo album.

Sei coinvolto anche in progetti musicali (Captain Funkaho, per esempio). Perché pensi che così tante persone che lavorano nel campo dell’ilustrazione hanno un forte interesse per la musica?

Tutto riguarda l’espressione – scrivere, la musica, il disegno, etc. Non sono campi così separati come a volte sembra.

Qual è la tua cover preferita, fra quelle tue? E quella che ti piace di meno?

A Lil’ Light di Dudley Perkins è una delle mie preferite, ed intendo tutto il packaging e non solo la cover. Ha quella semplice silhouette, la carta strappata, le pagine del mio diario, il fermo immagine di un film, un po’ di computer graphic design, ed un paio di foto. Penso che siano tutti elementi appropriati per il disco, ed è esattamente quello che associavo all’album.
Le cose che mi piacciono di meno sono di solito uno o due dettagli di un design o di una illustrazione. Che tendono a tenermi sveglio la notte ed a infastidirmi più a lungo di quanto dovrebbero.

Sappiamo che non ti interessi più ai fumetti. Ti ricordi quale è stato l’ultimo fumetto che hai letto?

Mi sono sempre piaciuti i fumetti, ma i miei interessi cambiano. Ho letto i fumetti underground degli anni ’70 prima dei supereroi. Ho disegnato la mia serie di Star Wars perché volevo partecipare al mio. Anche a quell’età, comunque, non separavo l’aspetto grafico dallo storytelling – è tanto una questione di idee e storytelling quanto lo è di illustrazione. Mio padre aveva una società che installava i pannelli solari nelle case dei privati e disegnava fumetti di lui e dei propri collaboratori che andavano nelle case dei clienti e distruggevano tutti e poi pisciavano dai tetti. L’ho aiutato a realizzare alcuni di questi fumetti. È un buon modo di imparare i fumetti da bambino, facendoli. Poi mi sono appassionato ai fumetti underground negli anni ’90, autori come Dame Darcy. Mi piacevano tantissimo, quei fumetti, ma riuscivo a leggerli raramente. Mi piacciono se sono bellissimi graficamente, o se sono molto divertenti.

Oh, e per rispondere alla tua domanda, non ricordo l’ultimo fumetto che ho letto.

Vuoi dirci qualcosa dei tuoi personaggi fumettistici Hookie and Baba?

Ho iniziato a disegnare Hookie and Baba come modo di scaricare tutta la mia frustrazione di vivere in una grande scatola di cemento a Oakland. Formato fisso: 5 vignette, disegnate velocemente, con il risultato della vignetta 5 a me ancora sconosciuto quando sono a pagina 1-2. Facevo in modo che uno dei due invariabilmente sabotasse, imbrogliasse o uccidesse l’altro, ma ho rilassato un po’ la regola. Mi hanno influenzato Spy Vs Spy, i Freak Bros, e le strips brevi e zozze di Ivan Brunetti. Ed anche da Carter del mio amico Scott Crackrock, un fumetto autoprodotto che faceva in Florida. Carter mi ha insegnato la gioia di un fumetto senza battuta finale… e senza scopo, per altro.

Ci sono speranze per la raccolta in volume di Hookie and Baba?

Hookie and Baba è fatto strettamente in fotocopia e distribuito a mano. Non vorrei nessun altro modo – sarebbe una cosa troppo compromettente, quando parteciperò alle elezioni per essere Presidente nel 2016.

Quali sono i tuoi progetti attuali?

Attualmente sto mettendo a punto un piano per fare il doppio delle copertine per la Stones Throw dell’anno scorso, ma in metà tempo. Non so ancora come fare, ma ci sto lavorando.

La classica domanda che facciamo sempre: quali sono, secondo te, le tre opere che un appassionato di fumetti dovrebbe assolutamente leggere?

La Bibbia, Le Storie di Erodoto e qualcosa di Kirby o Crumb.

E, vista la tua relazione con la Stones Throw, quali sarebbero i tre dischi che un vero appassionato di hip hop dovrebbe avere?

Due copie di Super Duck Breaks, ed una terza di scorta.

3 commenti:

Anonimo ha detto...

che risposte malate...genio!

SER ha detto...

ottima intervista
un grande!

Antonio ha detto...

Confermo. È un grande.