Beck, Edan ed il “Cross-over Totale” di Attilio Grilloni
Rewind al 1994. Il giovane Solinas, disilluso dallo stato dell’hip hop, sta per mollare.
[Perché diciamolo una buona volta, dopo De La Soul Is Dead e l’inizio della decadenza dei Public Enemy l’hip hop faceva cagare. Oggi c’è una patina di nostalgia- l’effetto Fazio- da parte di chi iniziava ad ascoltare rap in quel periodo, che porta a rivalutare tutto, ma proprio tutto (c’è chi dice che School of Hard Knox è un classico, ma figurarsi!), ma la verità è che c’è un motivo se il G-funk uscì in maniera così prepotente: la scena era stagnante. E per scena ovviamente intendo New York. Non esisteva altro, se si era veri amanti dell’hip hop. L’anno successivo il giovane Solinas avrebbe miracolosamente trovato in un negozio “insospettabile” Liquid Swords di GZA, e tutto sarebbe cambiato, metamorfosi di Micky Mix- che ospitò GZA e Killah Priest su VideoMusic- in Caparezza compresa…]
Il giovane Solinas sapeva che non avrebbe mollato, ma in qualche maniera il 1987 gli sembrava più attraente, a livello di rap. Nel 1994 c’erano altre cose “fresh”, che spaccavano il culo. Tipo uno smilzo californiano che si era registrato un album su un 4 piste a casa, e che poi era arrivato al numero uno in America. Il tizio era un certo Beck Hansen e il disco era ovviamente Mellowgold, un capolavoro assoluto.
[Il giovane Solinas lo avrebbe poi visto a Roma dal vivo l’anno successivo, un delirio totale al Circolo degli Artisti, ritardo di due ore sulla scaletta ma un set da paura, con il brano Casio (per altro mai registrato, mi pare) che si imprime indelebilmente nelle cellule cerebrali degli ascoltatori come un ipersigillo morrisoniano ante litteram, ma questa è un’altra storia…]
Quello che funzionava, e continua a funzionare, di Mellowgold era quello che il conduttore di VideoMusic Attilio Grilloni (chissà che fine ha fatto?) chiamava “il cross-over totale”. L’album mescolava hip hop, “slackerismo” e afflati indie in maniera assolutamente perfetta, quasi senza sforzo. Beck “faceva sé stesso”, e lo faceva alla grande, senza curarsi dei passaggi in radio o di compiacere il pubblico (e nello stesso periodo faceva roba assolutamente di nicchia come Stereopathetic Soul Manure, roba che a confronto la schizofrenia artistica di Alan Moore è acqua fresca). I campioni e le architetture sghembe e fragili di melodie e ritmi “stonati” reggevano alla grande, Loser era un trionfo (anche del controsenso) e Beck ne veniva fuori come un figo. Anzi no, Beck ERA figo: carismatico e nonchalant nella propria essenza, sia che indossasse quelle improbabili papaline “pre-baduiste” all’uncinetto o che si anestetizzasse il cervello nel casco da Trooper di Guerre Stellari.
Fast forward di 14 anni. Il giovane Solinas non è più giovane, sa che non mollerà l’hip-hop (e questo blog, nel bene e nel male, ne è testimonianza) e sbava ancora dietro a Mellowgold e Liquid Swords, ma intanto alcune cose sono cambiate.
Per prima cosa, Beck è diventato uno scientologista molto meno attraente e molto più prevedibile, dal punto di vista musicale. Grave, gravissimo, ma non irreparabile.
Perché c’è uno che ne ha ereditato lo scettro, migliorandone, se possibile, la posizione ai miei occhi. Questo tipo si chiama Edan. Come Freddy Kruger nacque dalla violenza di gruppo subita da una infermiera da parte della “crema” di un manicomio criminale, Edan sembra il figlio illegittimo di Janis Joplin e di una squadra di “inseminatori” comprendente Hendrix, Aesop Rock, Slug, Ray Davies, Marley Marl, Rakim e Noel Gallagher. Edan è bianco, vestito in maniera quasi “indie” d’epoca (niente a che fare con le fighetterie post-emo degli stronzetti di oggi) e coi capelli calcolatamente scompigliati come il miglior Coxson-Alburn-Ashcroft di fine millennio, ma questa carenza di melanina pare essere compensata dal “soul” interno.
Edan è un MC/producer/DJ che fa tutto da solo e che probabilmente si è murato vivo in casa alla fine del 1989. Il propellente musicale è infatti lo stesso che spingeva Marley Marl ai tempi d’oro: “sagra del campione” cavernosa e effettata su batterie che “zoccano” (traduzione del termine sassarese “zoccare”? To bang, to be bangin’), e rime che tengono desta l’attenzione dell’ascoltatore per l’alto livello tecnico. Insomma, roba vintage, uno penserebbe. E invece no: l’attitudine “sampledelica” di Edan si esprime nella manipolazione di campioni rockettari con un tocco personale e super “choppato”. Quando parte il campione di Strawberry Fields, è sminuzzato in maniera talmente fine che ci vogliono orecchie allenate per riconoscerlo, per esempio: siamo lontani dalla “jiggyness” dei Police stuprati da Diddy…
E che dire della capacità lirica? Edan rappa come se fosse ancora negli anni ’80 (quando cioè gli MC dovevano essere abili), ma a livello di testi, voce e cadenza sembra un improbabile incrocio fra Big Daddy Kane, Aesop Rock e Slug, se è possibile figurarsi una cosa del genere. In una parola (americana), “dope”.
Prendete Beauty and the Beat del 2005, un album che rappresenta la perfetta sintesi delle qualità di Edan: organico, ben rappato, con produzioni straordinarie nella capacità di scarnificazione dei ritmi. Insomma, incredibilmente “cool”, a partire dalla copertina in stile lo-fi che mette in primo piano il faccione del nume tutelare Marlon Williams. Marlon che, per inciso, nessuno dei recensori del disco cita mai, tutti presi come sono a riempirsi la bocca con improbabili influenze “bianche” di Edan, per pensare invece all’effetto esercitato sul rapper da parte della Juice Crew, non solo in termini musicali e lirici, ma anche quanto a coesività degli sforzi verso la costruzione di atmosfere “consistenti” all’interno di un album.
Cosa che a Edan riesce benissimo, tramite l’utilizzo di una visione psichedelica dell’uso delle chitarre accostate all’attitudine “astrattista” di un maestro dei giochi di parole (se qualcuno- non io- dicesse che è il miglior rapper in giro, non mi scandalizzerei troppo). Non c’è traccia di “slackers”, ma il risultato è un hardcore lo-fi che somiglia, per mentalità (ma qualche volta anche per suono, strano a dirsi) ai migliori momenti dell’esordio major di Mr. Hansen.
E che bisogno c’è di un Beck, allora, quando in giro c’è Edan? Speriamo solo che fra 15 anni non mi tocchi scrivere le stesse parole a riguardo di un Edan diventato membro di Scientology…
[Perché diciamolo una buona volta, dopo De La Soul Is Dead e l’inizio della decadenza dei Public Enemy l’hip hop faceva cagare. Oggi c’è una patina di nostalgia- l’effetto Fazio- da parte di chi iniziava ad ascoltare rap in quel periodo, che porta a rivalutare tutto, ma proprio tutto (c’è chi dice che School of Hard Knox è un classico, ma figurarsi!), ma la verità è che c’è un motivo se il G-funk uscì in maniera così prepotente: la scena era stagnante. E per scena ovviamente intendo New York. Non esisteva altro, se si era veri amanti dell’hip hop. L’anno successivo il giovane Solinas avrebbe miracolosamente trovato in un negozio “insospettabile” Liquid Swords di GZA, e tutto sarebbe cambiato, metamorfosi di Micky Mix- che ospitò GZA e Killah Priest su VideoMusic- in Caparezza compresa…]
Il giovane Solinas sapeva che non avrebbe mollato, ma in qualche maniera il 1987 gli sembrava più attraente, a livello di rap. Nel 1994 c’erano altre cose “fresh”, che spaccavano il culo. Tipo uno smilzo californiano che si era registrato un album su un 4 piste a casa, e che poi era arrivato al numero uno in America. Il tizio era un certo Beck Hansen e il disco era ovviamente Mellowgold, un capolavoro assoluto.
[Il giovane Solinas lo avrebbe poi visto a Roma dal vivo l’anno successivo, un delirio totale al Circolo degli Artisti, ritardo di due ore sulla scaletta ma un set da paura, con il brano Casio (per altro mai registrato, mi pare) che si imprime indelebilmente nelle cellule cerebrali degli ascoltatori come un ipersigillo morrisoniano ante litteram, ma questa è un’altra storia…]
Quello che funzionava, e continua a funzionare, di Mellowgold era quello che il conduttore di VideoMusic Attilio Grilloni (chissà che fine ha fatto?) chiamava “il cross-over totale”. L’album mescolava hip hop, “slackerismo” e afflati indie in maniera assolutamente perfetta, quasi senza sforzo. Beck “faceva sé stesso”, e lo faceva alla grande, senza curarsi dei passaggi in radio o di compiacere il pubblico (e nello stesso periodo faceva roba assolutamente di nicchia come Stereopathetic Soul Manure, roba che a confronto la schizofrenia artistica di Alan Moore è acqua fresca). I campioni e le architetture sghembe e fragili di melodie e ritmi “stonati” reggevano alla grande, Loser era un trionfo (anche del controsenso) e Beck ne veniva fuori come un figo. Anzi no, Beck ERA figo: carismatico e nonchalant nella propria essenza, sia che indossasse quelle improbabili papaline “pre-baduiste” all’uncinetto o che si anestetizzasse il cervello nel casco da Trooper di Guerre Stellari.
Fast forward di 14 anni. Il giovane Solinas non è più giovane, sa che non mollerà l’hip-hop (e questo blog, nel bene e nel male, ne è testimonianza) e sbava ancora dietro a Mellowgold e Liquid Swords, ma intanto alcune cose sono cambiate.
Per prima cosa, Beck è diventato uno scientologista molto meno attraente e molto più prevedibile, dal punto di vista musicale. Grave, gravissimo, ma non irreparabile.
Perché c’è uno che ne ha ereditato lo scettro, migliorandone, se possibile, la posizione ai miei occhi. Questo tipo si chiama Edan. Come Freddy Kruger nacque dalla violenza di gruppo subita da una infermiera da parte della “crema” di un manicomio criminale, Edan sembra il figlio illegittimo di Janis Joplin e di una squadra di “inseminatori” comprendente Hendrix, Aesop Rock, Slug, Ray Davies, Marley Marl, Rakim e Noel Gallagher. Edan è bianco, vestito in maniera quasi “indie” d’epoca (niente a che fare con le fighetterie post-emo degli stronzetti di oggi) e coi capelli calcolatamente scompigliati come il miglior Coxson-Alburn-Ashcroft di fine millennio, ma questa carenza di melanina pare essere compensata dal “soul” interno.
Edan è un MC/producer/DJ che fa tutto da solo e che probabilmente si è murato vivo in casa alla fine del 1989. Il propellente musicale è infatti lo stesso che spingeva Marley Marl ai tempi d’oro: “sagra del campione” cavernosa e effettata su batterie che “zoccano” (traduzione del termine sassarese “zoccare”? To bang, to be bangin’), e rime che tengono desta l’attenzione dell’ascoltatore per l’alto livello tecnico. Insomma, roba vintage, uno penserebbe. E invece no: l’attitudine “sampledelica” di Edan si esprime nella manipolazione di campioni rockettari con un tocco personale e super “choppato”. Quando parte il campione di Strawberry Fields, è sminuzzato in maniera talmente fine che ci vogliono orecchie allenate per riconoscerlo, per esempio: siamo lontani dalla “jiggyness” dei Police stuprati da Diddy…
E che dire della capacità lirica? Edan rappa come se fosse ancora negli anni ’80 (quando cioè gli MC dovevano essere abili), ma a livello di testi, voce e cadenza sembra un improbabile incrocio fra Big Daddy Kane, Aesop Rock e Slug, se è possibile figurarsi una cosa del genere. In una parola (americana), “dope”.
Prendete Beauty and the Beat del 2005, un album che rappresenta la perfetta sintesi delle qualità di Edan: organico, ben rappato, con produzioni straordinarie nella capacità di scarnificazione dei ritmi. Insomma, incredibilmente “cool”, a partire dalla copertina in stile lo-fi che mette in primo piano il faccione del nume tutelare Marlon Williams. Marlon che, per inciso, nessuno dei recensori del disco cita mai, tutti presi come sono a riempirsi la bocca con improbabili influenze “bianche” di Edan, per pensare invece all’effetto esercitato sul rapper da parte della Juice Crew, non solo in termini musicali e lirici, ma anche quanto a coesività degli sforzi verso la costruzione di atmosfere “consistenti” all’interno di un album.
Cosa che a Edan riesce benissimo, tramite l’utilizzo di una visione psichedelica dell’uso delle chitarre accostate all’attitudine “astrattista” di un maestro dei giochi di parole (se qualcuno- non io- dicesse che è il miglior rapper in giro, non mi scandalizzerei troppo). Non c’è traccia di “slackers”, ma il risultato è un hardcore lo-fi che somiglia, per mentalità (ma qualche volta anche per suono, strano a dirsi) ai migliori momenti dell’esordio major di Mr. Hansen.
E che bisogno c’è di un Beck, allora, quando in giro c’è Edan? Speriamo solo che fra 15 anni non mi tocchi scrivere le stesse parole a riguardo di un Edan diventato membro di Scientology…
4 commenti:
Il mio commento intelligente è:
devi rispondere ad una catena, sei stato nominato, vieni a vedere di che si tratta :)
ultra 88!!
Condivido in parte il tuo entusiasmo. Come produttore ci siamo e Beauty And The Beat è davvero una ficata, ma se qualcuno s'azzardasse a dire che è il miglior rapper in giro lo pimpslapperei con la panza di Noreaga
Comunque sia trovo folle che venga nominato così poco quando c'è gentaglia tipo i Cool Kids e tutti i finocchi che gli stanno appresso che proprio ora stanno facendo il botto con roba infinitamente inferiore
infatti, se hai letto, ho detto - non io-...
Al massimo io posso esaltarmi per Aesop Rock!
La seconda parte del discorso fila, ma Edan non ha i calzoni da gay e non si fa le seghe sulle scarpe da tennis "cool"... per cui non puo' essere famoso. E' lo stesso discorso del Grey album di Danger Mouse (di cui parlano tutti) a paragone del Brown album (di cui non parla nessuno). Eppure sappiamo bene quale sia quello migliore...
Posta un commento