giovedì 8 novembre 2007

Niggy Tardust

Del disco dei Radiohead ne hanno parlato tutti. Niggy Tardust non se lo caga nessuno.
Eppure dovrebbero. Prima di tutto perché ogni iniziativa che consenta al pubblico di decidere quanto vuole pagare per l’ascolto del disco è meritoria, e poi perché Saul Williams è un poeta bravissimo e un fine critico del costume americano (e uno che non si vuole fare ingabbiare nei canoni dell’hip hop per veicolare il proprio messaggio).
Ma c’è un motivo in particolare che dovrebbe spingere la gente a prestare attenzione a Niggy Tardust. E non è roba da poco: si tratta del fatto che il disco è prodotto in toto da quel geniaccio di Trent Reznor, che torna alla consolle per un altro artista per la prima volta dai tempi di Antichrist Superstar di Marilyn Manson.
Ve lo ricordate Antichrist Superstar, vero? Dite quello che volete, ma quel disco, una rasoiata industriale che si trasfigurava in esplosioni di mellotron, rappresenta uno dei dischi rock meglio prodotti di sempre (almeno senza contare la discografia dei NIN).
In Niggy Tardust ci troviamo di fronte a un concept album che mantiene le promesse, e parla di amore, politica, razzismo e via dicendo in modo organico e preciso. Si tratta di un’opera che si può descrivere come una specie di incontro fra i Public Enemy (non a caso campionati in bella vista) e gli ultimi Nine Inch Nails, con una spruzzatina di Last Poet e, perché no, Bowie, richiamato in maniera inequivocabile sin dal titolo.
In realtà, non si capisce dove finisca il confine fra un disco di Williams e un disco di Reznor (che appare in maniera preponderante e a volte addirittura opprimente), ma non importa. I beats sono bellissimi e mostrano un approccio molto diverso da certe produzioni “soniche” della Def Jux. A sentirli si rimane a bocca aperta. Reznor, per sfizio, dovrebbe veramente produrre qualche beat per rappers “di mentalità aperta”.
Il disco si può scaricare qui (anche gratuitamente, se non volete pagare, per me non ci sono problemi) e merita.
Per dirne una, c’è una cover di uno dei brani che più detesto, Sunday Bloody Sunday, che mi commuove ogni volta che la sento.

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