Una Considerazione
Quando si parla di hip hop italiano, chi non ne sa niente storce la bocca ancora di più.
Eppure, a ben guardare, ci sarebbe poco da storcere la bocca, per un non iniziato.
Infatti, l’hip hop italiano, a prescindere dalla qualità, è sicuramente hip hop.
L’adesione formale ai canoni del genere è pressoché totale, e, sebbene molti sembrino dimenticarsi di un particolare importante come questo, non è un fatto trascurabile.
A livello di intrattenimento di massa, i codici espressivi di generi e sottogeneri sono importanti. Se si vuole girare un western, per quanto contaminato, bisogna prima di tutto conoscere le regole del genere, e poi seguirle, facendo ben capire all’audience quando ci si prende la licenza di trasgredire quelle regole.
Da questo punto di vista l’hip hop italiano è in una botte di ferro. I “professionisti” (termine con cui intendo chi ha un contratto o chi suona abitualmente, a prescindere da quanto è bravo o scarso, e non i tanti internet MC’s e wannabe) conoscono le regole e le seguono.
Che poi l’adesione ai canoni statunitensi non possa essere totale è ovvio: se in America i gangsta possono essere credibili, in Italia fanno ridere, per esempio.
Ma ciò non toglie che ci sia una certa qual corrispondenza fra l’idea platonica di hip hop e la versione che se ne fa in Italia (senza contare che gente come Don Joe ha prodotto anche per artisti americani di un certo rilievo).
Si può dire lo stesso di altri generi musicali, in Italia, un paese dove gente come Vasco Rossi e Ligabue vengono considerati rock? Dove gli arrangiamenti della musica pop sono uguali per tutti, e la chitarra distorta sembra un peccato capitale? Check yourself before you wreck yourself…
Eppure, a ben guardare, ci sarebbe poco da storcere la bocca, per un non iniziato.
Infatti, l’hip hop italiano, a prescindere dalla qualità, è sicuramente hip hop.
L’adesione formale ai canoni del genere è pressoché totale, e, sebbene molti sembrino dimenticarsi di un particolare importante come questo, non è un fatto trascurabile.
A livello di intrattenimento di massa, i codici espressivi di generi e sottogeneri sono importanti. Se si vuole girare un western, per quanto contaminato, bisogna prima di tutto conoscere le regole del genere, e poi seguirle, facendo ben capire all’audience quando ci si prende la licenza di trasgredire quelle regole.
Da questo punto di vista l’hip hop italiano è in una botte di ferro. I “professionisti” (termine con cui intendo chi ha un contratto o chi suona abitualmente, a prescindere da quanto è bravo o scarso, e non i tanti internet MC’s e wannabe) conoscono le regole e le seguono.
Che poi l’adesione ai canoni statunitensi non possa essere totale è ovvio: se in America i gangsta possono essere credibili, in Italia fanno ridere, per esempio.
Ma ciò non toglie che ci sia una certa qual corrispondenza fra l’idea platonica di hip hop e la versione che se ne fa in Italia (senza contare che gente come Don Joe ha prodotto anche per artisti americani di un certo rilievo).
Si può dire lo stesso di altri generi musicali, in Italia, un paese dove gente come Vasco Rossi e Ligabue vengono considerati rock? Dove gli arrangiamenti della musica pop sono uguali per tutti, e la chitarra distorta sembra un peccato capitale? Check yourself before you wreck yourself…
2 commenti:
ma sai..anche fare il gangsta può avere un senso! Voglio dire: certe storie che raccontano i Club Dogo, ovviamente non sono vissute da loro in prima persona..cioè è come guardare un film! Non è che quando vedo scarface dico: "AH SI..CE LO VEDO AL PACINO CHE SPARA..MA FIGURATI..CHE CAGATA!"
Credo che il concetto "devi reppare quello che vivi" sia passato ormai da tempo.
i club dogo mi fanno cagare
Hai ragione, ma in generale si scrive di cose che si conoscono.
Il senso della riflessione era rivolto verso chi storce la bocca nei confronti dell'hip hop italiano e poi pensa che Ligabue sia un rocker... Diamo a Cesare quel che e' di Cesare.
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