1998
Scritto all'inizio del 1998 e mai finito: un racconto dal titolo Blue Flowers (Keith dominava, in quel periodo!).
Ecco il capitolo uno.
Non ero mai stato bravo a scuola. Ma me la ero sempre cavata. La mia specialità era ingraziarmi le persone: ero un vero genio nell’arte di mostrarmi un bravo ragazzo. Imbrogliare gli altri mi era sempre stato congeniale, ma aveva i suoi imprevisti. Non mi era mai facile districarmi, una volta che ero stato scoperto. Come quella volta che mi trovarono in bagno con Jenny Mc Ateer, la figlia del preside. I nostri atteggiamenti erano quantomeno espliciti, ma volli tentare almeno un’ultima disperata difesa. Ovviamente nessuno credette alla mia versione, soprattutto perché puzzava di falso da mille miglia di distanza. Non si può affermare di essere stato morso da un ragno radioattivo e sperare che qualcuno se la beva. Me la cavai con una sospensione di tre giorni, comunque: merito dei miei voti decenti e della mia fama di ragazzo tranquillo. Da quel giorno Jenny non volle più parlarmi, ma non mi importò poi molto. Avevo svergognato il preside (lo stronzo era odiato praticamente da tutti, professori compresi) e potevo considerarmi l’eroe della scuola. Un giorno, mentre me ne tornavo a casa solo soletto, mi si avvicinò Jack Jones. Jack era il tipo di negro che ti piscia dentro l’ascensore (come diceva quella canzone che mi prendeva tanto) e avevo imparato ad evitarlo accuratamente. Una volta aveva steso un mio compagno di scuola, Marvin Cole, il ragazzo più prepotente che avessi mai conosciuto. Marvin era un idiota irlandese che pensava di poter risolvere ogni problema con il ricorso alla violenza. Ma sbagliò persona, ad attaccare briga con Jack. Marvin si prese un bel calcio in faccia: Jack si era rotto il braccio in un incidente in macchina, e non aveva voglia di scherzare, proprio per niente. Avevo visto tutti i films di Bruce Lee, ma quando vidi la gamba di Jack saettare verso il viso di Marvin, e l’idiota cadere faccia a terra senza un gemito, mi sentii preso da una strana eccitazione. Più o meno quella che ti porta a cagarti sotto dalla paura mentre guardi un film dell’orrore.
Solo che solitamente i maniaci dei film horror hanno un aspetto meno pericoloso di quello di Jack Jones.
Quel giorno, dicevo, Jack mi venne incontro. Lo salutai calorosamente da lontano (e qualche goccia di sudore mi imperlò la fronte), ma dall’inizio qualcosa non mi quadrava, per niente. Negli occhi di Jack leggevo un’emozione inspiegabile, una specie di timore reverenziale. Il genere di reazione che uno come me non crede di poter provocare negli altri, tantomeno in una macchina da guerra come Jack Jones.
-Posso parlarti?- mi disse, con una nota di timidezza improbabile in uno che si diceva che avesse accoltellato ad una gamba un ubriaco che tentava di importunare Millie Moran, la sua ragazza. Il sogno di metà dei ragazzi della scuola: l’altra metà erano ciechi, omossessuali e Mike Simmons, il mio migliore amico.
Spalancai gli occhi, sorpreso. Che diavolo poteva volere Jack da un mezzo chicano come me?
Un attimo di indecisione. Jack mi guardava sorpreso, e non sapevo cosa dire. Fingendo la tranquillità più assoluta, stetti in silenzio per circa venti secondi, fin quando non riuscii a bofonchiare: -Dì pure.-
-Senti, stasera al Roxy c’è una festa. Si inizia alle nove e mezza. I ragazzi pensano che sarebbe grandioso se tu potessi venire...-
Mi prese il malditesta. I “ragazzi” erano la cricca che frequentava Jack, le persone più bastarde ed infide che si potessero incontrare nell’emisfero settentrionale. Una banda di delinquenti. Non credevo che sarei mai riuscito a frequentarli. Non potevo crederci: ero raggiante.
Nonostante fossi ad un passo dall’estasi, tentai l’affondo: -Posso portare qualcuno con me?-
-Certo, amico. Sei un eroe, lo sai?- Jack si aprì in un sorriso molto amichevole, e mi diede una pacca sulla spalla. Era la seconda volta che avevamo un contatto fisico. Quattro anni prima mi aveva mollato un pugno nello stomaco. Non gli avevo voluto cedere la merenda. Come cambiano le cose...
La festa fu un successone. Alle undici ero già ubriaco fradicio, e alle due avevo battuto il record di vomitate della ghenga di Jack. Ero ad un passo dalla beatificazione. Tutti, al Roxy, mi guardavano con rispetto, anche se io non me ne potevo accorgere, accucciato come ero sotto il tavolo.
Avevo portato con me Mike Simmons, un nerd al cubo che in vita sua non aveva pensato altro che allo studio, al computer e a difendersi dalle botte dei ragazzi più grandi di lui (e anche più piccoli, se è per questo).
Mike era intelligentissimo, ed era la persona più fidata che conoscessi. Potevo confidargli i miei segreti con tranquillità, senza paura di essere sputtanato davanti a tutti. Era il mio compagno di banco, e mi aveva passato i compiti con una frequenza spaventosa, senza mai lamentarsi nè chiedere niente. Era in gamba, ed anche molto più bastardo di quanto si potesse pensare guardandolo in faccia. Sotto i suoi occhialoni si nascondeva un istinto da gangster, anche se lui non lo sapeva. Come minimo lo dovevo inserire in un’occasione così grande, di quelle che capitano poche volte nella vita. Se fossimo diventati parte del giro di Jack Jones, nessuno ci avrebbe più scocciato per almeno duemila anni. Quando gli comunicai l’invito, rise nervosamente, e mi disse con un sorriso comprensivo: -Sei un buontempone, lo sai? Per un attimo stavo per crederti...-
Mike usava sempre strane locuzioni da film degli anni trenta, e non diceva mai parolacce. La massima offesa cui potesse pensare era “buffone”. Figurarsi...
Con fatica lo convinsi che non lo stavo prendendo in giro, e dopo circa due ore Mike si decise ad accettare di accompagnarmi al Roxy. Lo metteva un pò a disagio l’entrare nella tana di quelli che erano stati fra i suoi più grandi persecutori dal primo giorno che aveva messo piede al collegio. Nessuno gli torse un capello. Era con me, e perciò fu considerato intoccabile. Stavo maturando un complesso di superiorità...
Quella notte, mi disse il giorno dopo, Mike perse la verginità. Non aveva mai provato alcun interesse per l’altro sesso, nè l’altro sesso si era mai minimamente interessato a lui. Ma dopo quattro whiskey, e dopo essere stato letteralmente trascinato in camera da letto da due lesbiche assatanate di sesso che erano da sempre uno dei trastulli preferiti dei ragazzi del Roxy, la situazione cambiò per sempre.
Passò molto tempo prima che Mike potesse rinnovellare i fasti di quella notte speciale, ma la rimpianse a lungo (per quanto i suoi ricordi non fossero esattamente limpidissimi, a causa dell’alcol). Anche perché fu un bel casino spiegare alla madre come avesse rotto gli occhiali, a quella festa...
Ecco il capitolo uno.
Non ero mai stato bravo a scuola. Ma me la ero sempre cavata. La mia specialità era ingraziarmi le persone: ero un vero genio nell’arte di mostrarmi un bravo ragazzo. Imbrogliare gli altri mi era sempre stato congeniale, ma aveva i suoi imprevisti. Non mi era mai facile districarmi, una volta che ero stato scoperto. Come quella volta che mi trovarono in bagno con Jenny Mc Ateer, la figlia del preside. I nostri atteggiamenti erano quantomeno espliciti, ma volli tentare almeno un’ultima disperata difesa. Ovviamente nessuno credette alla mia versione, soprattutto perché puzzava di falso da mille miglia di distanza. Non si può affermare di essere stato morso da un ragno radioattivo e sperare che qualcuno se la beva. Me la cavai con una sospensione di tre giorni, comunque: merito dei miei voti decenti e della mia fama di ragazzo tranquillo. Da quel giorno Jenny non volle più parlarmi, ma non mi importò poi molto. Avevo svergognato il preside (lo stronzo era odiato praticamente da tutti, professori compresi) e potevo considerarmi l’eroe della scuola. Un giorno, mentre me ne tornavo a casa solo soletto, mi si avvicinò Jack Jones. Jack era il tipo di negro che ti piscia dentro l’ascensore (come diceva quella canzone che mi prendeva tanto) e avevo imparato ad evitarlo accuratamente. Una volta aveva steso un mio compagno di scuola, Marvin Cole, il ragazzo più prepotente che avessi mai conosciuto. Marvin era un idiota irlandese che pensava di poter risolvere ogni problema con il ricorso alla violenza. Ma sbagliò persona, ad attaccare briga con Jack. Marvin si prese un bel calcio in faccia: Jack si era rotto il braccio in un incidente in macchina, e non aveva voglia di scherzare, proprio per niente. Avevo visto tutti i films di Bruce Lee, ma quando vidi la gamba di Jack saettare verso il viso di Marvin, e l’idiota cadere faccia a terra senza un gemito, mi sentii preso da una strana eccitazione. Più o meno quella che ti porta a cagarti sotto dalla paura mentre guardi un film dell’orrore.
Solo che solitamente i maniaci dei film horror hanno un aspetto meno pericoloso di quello di Jack Jones.
Quel giorno, dicevo, Jack mi venne incontro. Lo salutai calorosamente da lontano (e qualche goccia di sudore mi imperlò la fronte), ma dall’inizio qualcosa non mi quadrava, per niente. Negli occhi di Jack leggevo un’emozione inspiegabile, una specie di timore reverenziale. Il genere di reazione che uno come me non crede di poter provocare negli altri, tantomeno in una macchina da guerra come Jack Jones.
-Posso parlarti?- mi disse, con una nota di timidezza improbabile in uno che si diceva che avesse accoltellato ad una gamba un ubriaco che tentava di importunare Millie Moran, la sua ragazza. Il sogno di metà dei ragazzi della scuola: l’altra metà erano ciechi, omossessuali e Mike Simmons, il mio migliore amico.
Spalancai gli occhi, sorpreso. Che diavolo poteva volere Jack da un mezzo chicano come me?
Un attimo di indecisione. Jack mi guardava sorpreso, e non sapevo cosa dire. Fingendo la tranquillità più assoluta, stetti in silenzio per circa venti secondi, fin quando non riuscii a bofonchiare: -Dì pure.-
-Senti, stasera al Roxy c’è una festa. Si inizia alle nove e mezza. I ragazzi pensano che sarebbe grandioso se tu potessi venire...-
Mi prese il malditesta. I “ragazzi” erano la cricca che frequentava Jack, le persone più bastarde ed infide che si potessero incontrare nell’emisfero settentrionale. Una banda di delinquenti. Non credevo che sarei mai riuscito a frequentarli. Non potevo crederci: ero raggiante.
Nonostante fossi ad un passo dall’estasi, tentai l’affondo: -Posso portare qualcuno con me?-
-Certo, amico. Sei un eroe, lo sai?- Jack si aprì in un sorriso molto amichevole, e mi diede una pacca sulla spalla. Era la seconda volta che avevamo un contatto fisico. Quattro anni prima mi aveva mollato un pugno nello stomaco. Non gli avevo voluto cedere la merenda. Come cambiano le cose...
La festa fu un successone. Alle undici ero già ubriaco fradicio, e alle due avevo battuto il record di vomitate della ghenga di Jack. Ero ad un passo dalla beatificazione. Tutti, al Roxy, mi guardavano con rispetto, anche se io non me ne potevo accorgere, accucciato come ero sotto il tavolo.
Avevo portato con me Mike Simmons, un nerd al cubo che in vita sua non aveva pensato altro che allo studio, al computer e a difendersi dalle botte dei ragazzi più grandi di lui (e anche più piccoli, se è per questo).
Mike era intelligentissimo, ed era la persona più fidata che conoscessi. Potevo confidargli i miei segreti con tranquillità, senza paura di essere sputtanato davanti a tutti. Era il mio compagno di banco, e mi aveva passato i compiti con una frequenza spaventosa, senza mai lamentarsi nè chiedere niente. Era in gamba, ed anche molto più bastardo di quanto si potesse pensare guardandolo in faccia. Sotto i suoi occhialoni si nascondeva un istinto da gangster, anche se lui non lo sapeva. Come minimo lo dovevo inserire in un’occasione così grande, di quelle che capitano poche volte nella vita. Se fossimo diventati parte del giro di Jack Jones, nessuno ci avrebbe più scocciato per almeno duemila anni. Quando gli comunicai l’invito, rise nervosamente, e mi disse con un sorriso comprensivo: -Sei un buontempone, lo sai? Per un attimo stavo per crederti...-
Mike usava sempre strane locuzioni da film degli anni trenta, e non diceva mai parolacce. La massima offesa cui potesse pensare era “buffone”. Figurarsi...
Con fatica lo convinsi che non lo stavo prendendo in giro, e dopo circa due ore Mike si decise ad accettare di accompagnarmi al Roxy. Lo metteva un pò a disagio l’entrare nella tana di quelli che erano stati fra i suoi più grandi persecutori dal primo giorno che aveva messo piede al collegio. Nessuno gli torse un capello. Era con me, e perciò fu considerato intoccabile. Stavo maturando un complesso di superiorità...
Quella notte, mi disse il giorno dopo, Mike perse la verginità. Non aveva mai provato alcun interesse per l’altro sesso, nè l’altro sesso si era mai minimamente interessato a lui. Ma dopo quattro whiskey, e dopo essere stato letteralmente trascinato in camera da letto da due lesbiche assatanate di sesso che erano da sempre uno dei trastulli preferiti dei ragazzi del Roxy, la situazione cambiò per sempre.
Passò molto tempo prima che Mike potesse rinnovellare i fasti di quella notte speciale, ma la rimpianse a lungo (per quanto i suoi ricordi non fossero esattamente limpidissimi, a causa dell’alcol). Anche perché fu un bel casino spiegare alla madre come avesse rotto gli occhiali, a quella festa...
3 commenti:
Jack era il tipo di negro che ti piscia dentro l’ascensore
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Grande!!!! Sei troppo ghetto, antonio!
Vedo che hai colto la citazione...
Ottimo!
eh oh..sono piu gagno di te, ma ci sono cresciuto anche io con sta roba
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